Attualità

Superare la dipendenza da chat e cellulari con la pratica delle virtù

Pubblichiamo una riflessione di Giovanni Cogliandro, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo ‘Mozart’ di Roma sull’utilizzo dei cellulari da parte dei giovani:

“Una significativa parte del nostro tempo di vita, privato o lavorativo, viene passato scrutando il cellulare, sperando di vedere che, in nostra assenza, il numero di messaggi in attesa di essere letti siano diversi da zero. Questo fornisce una percezione di quanto le altre persone ci hanno cercato, desiderato, o hanno voluto condividere con noi qualcosa. Tale attesa o curiosità di controllare quasi costantemente i messaggi in arrivo, può depotenziare un’altra nostra capacità, ovvero l’attenzione verso cosa stiamo facendo, sia in ambito lavorativo che in ambito relazionale (nel mondo reale).

Le diverse evoluzioni della messagistica tra cellulari e dispositivi elettronici di vario tipo hanno raggiunto livelli difficilmente immaginabili alcuni anni fa. Voglio riflettere brevemente su questa tematica dal punto di vista di un dirigente scolastico che vuole  realizzare una comunità di cui essere sempre più coscientemente organizzatore paternalisticamente non ma umanisticamente promotore di relazionalità vitale e incentrata sulle persone, sugli sguardi, sui volti.

Riflettere sulla socialità originaria è un affidabile e realistico metodo di valutazione inclusivo dei temi propri della contemporanea etica delle virtù (distinta dai filosofi morali in virtue ethics e virtue theory) che offre la possibilità di una interpretazione non rivolta semplicemente alla riconsiderazione di modelli antichi di felicità della persona ma propositiva e aperta al confronto con le dottrine filosofiche che si sono confrontate più a fondo con i temi della secolarizzazione e del multiculturalismo.

L’utilizzo di strumenti noti a tutti noi quali WhatsApp, Telegram e simili risorse è certamente utile in quanto aumenta le possibilità di relazioni e di rimanere in contatto con le persone che ci circondano in ogni momento della giornata, a prescindere dal luogo in cui ci si trova. Inoltre è molto semplice e utile per l’organizzazione di incontri o di eventi mediante la possibilità di creare gruppi ad hoc, sia per il tempo libero che per il lavoro. Tale utilizzo è cresciuto moltissimo negli anni della pandemia e costituisce ormai comunemente un supporto sociale in momenti di solitudine, se voluto dalla persona, non di meno è gratuito, e perciò maggiormente fruibile. Permette di inviare foto, audio, immagini, oltre chiaramente al testo, con cui condividere significati con chi si vuole, quando si vuole.

Purtroppo tali preziosi strumenti hanno una doppia faccia: oltre alla facilità e rapidità di utilizzo, la presenza sociale, il divertimento di condividere con gli altri varie tipologie di contenuti e il vantaggio economico, c’è il lato oscuro di tali strumenti, un lato che, ispirandoci ad alcuni autori che se ne sono occupati in questi ultimi tempi tra i quali Luciano Floridi, Nick Bostrom (più critico), Ray Kurzweil (più ottimista) e altri specialisti dell’interazione tra intelligenza umana e strumenti informatici, possiamo affermare che sia corrispondente a un disagio e ad una compressione della sfera delle capacità relazionali, emozionali e più in generale mentali.

Quando si inviano contenuti, strumenti come WhatsApp permettono di monitorare lo stato dei nostri messaggi: se inviato, arrivato al destinatario e visualizzato dal destinatario. Quando il messaggio risulta visualizzato e subito arriva la risposta, nessun problema. Ma cosa succede se la persona a cui abbiamo scritto non risponde? I sentimenti più comuni sono quelli di rabbia, ansia e frustrazione, dati dall’insicurezza personale e dal dubbio su cosa stia effettivamente facendo l’altra persona, dove si trovi e con chi. Ciò dipende anche dal fatto che siamo assuefatti ad una comunicazione immediata e perciò il tempo di attesa, di accettazione di una risposta, si abbassa vorticosamente, fino quasi a pretendere un’azione immediata di risposta. Forse è questa una delle cause della crescente situazione di aggressività, verbale e non verbale, che si manifestano in questo proliferare di chat tra genitori e alunni come possiamo riscontrare in questi ultimi mesi a scuola, luogo d’elezione per il costituirsi della socialità.

Ci giunge notizia di aggressività crescente nelle sempre più pericolose chat tra genitori, in cui la comunicazione vera e sincera viene sostituita da insinuazioni, allusioni, uso di parole intrise di violenza e discriminazione nei confronti dei più deboli.

Personalmente sarei felice del superamento di tali modalità alquanto primitive di relazione, in favore di incontro e scambio di sguardi e parole al posto di algidi messaggi colorati da infantili emoticon, risibili se utilizzate da adulti che dovrebbero essere d’esempio ai loro figli.

In questo è possibile incrociare la tematica del paternalismo liberale, moderato o meno, con la ricerca contemporanea in tema di esemplarismo etico. Quest’ultima potrebbe fornire alcune linee di condotta fondate su psicologia morale e pedagogia non oppressiva ma promozionale che potrebbe utilmente integrare la riflessione con una concezione di flourishing come scopo della società che voglia concretamente sottrarsi a logiche di dominio. Linda Zagzebski ad esempio nel suo volume Exemplarist Moral Theory (Oxford University Press 2017) sviluppa la sua teoria morale a partire dall’emozione dell’ammirazione usando esempi che mostrano una linea di condotta da seguire, sfuggendo alle logiche di dominio. I nostri genitori e i nostri docenti dovrebbero fare propria una nozione non semplicistica di esemplarismo, mostrando con il loro agire di adulti relazionalmente maturi una non dipendenza dello schermo, una non assuefazione che non può essere data per scontata in una realtà di fatto assuefatta come la nostra, ma che può essere costruita con un impegno quotidiano recuperando le relazioni vere, lo sguardo, il volto.

Il paradigma dell’etica delle virtù cui prima facevo riferimento ha sviluppato un convincente modello di antropologia relazionale che preserva efficacemente una concezione liberale e repubblicana della micropolitica delle relazioni nella quotidianità in quanto preserva efficacemente la dignità degli individui osservando le dinamiche delle inclinazioni e la possibilità che esse diventino abiti virtuosi e quindi vie verso l’autorealizzazione e la felicità conseguente. Tra gli autori più recenti mi limito a ricordare le filosofe inglesi e americane che perseguono questa ricerca in modo sistematico e originale quali Rosalind Hursthouse, Iris Murdoch, Nancy Snow, la già menzionata Linda Zagzebski.

Dipende da ognuno di noi realizzare in primo luogo nell’ambiente scolastico creare e mantenere un soddisfacente livello di comunicazione e di contatto con gli altri, integrando un uso consapevole, limitato alla sua effettiva necessità e il più possibile razionale dello smartphone con la bellezza della quotidiana relazione con le persone che compongono la trama di relazioni di cui è costituito il nostro mondo reale.

Non è realistico puntare ad eliminare l’utilizzo delle altre messaggerie istantanee, demonizzare l’utilizzo del cellulare o lamentarsi passivamente di come le relazioni con gli altri siano cambiate. E’ però necessario da parte di tutti comprendere che oltre a una relazione che ormai sfiora il patologico con il telefono cellulare siamo circondati da un mondo reale, un mondo fatto di persone che ci invitano a una vita reale di interazioni non istintive o gestuali, ma di parole e vere emozioni, un mondo che ci invita a una vita attiva e sociale, condivisa con gli altri, magari anche riflettendo sul fatto che anziché reagire in modo istintivo o rabbioso a una notazione fatta da un docente, un compagno di classe, un genitore, un adulto, una persona in generale, ognuno di noi ha l’obbligo di ascoltare se stesso, valorizzando anche momenti di sana solitudine”.

Redazione

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