Più volte, negli ultimi mesi, il ministro Giannini ha chiaramente lasciato ad intendere che è allo studio del Miur una riforma degli Esami di Stato.
Ebbene, non possiamo che invitarla a fare in fretta, perché così come sono adesso, gli Esami di Stato sono un’inutile – e costosa – zavorra, che mortifica l’intelligenza di tutti gli attori coinvolti, docenti e studenti. Questo, per due ordini di motivi. Il primo: come tutti i nostri lettori sanno bene, le Commissioni d’Esame sono composte da tre commissari esterni, tre commissari interni e un presidente. La normativa tiene a precisare che tutti hanno pari dignità e che è lontana mille miglia l’idea che i primi – gli esterni – possano in qualche modo considerarsi un gradino più in alto rispetto ai secondi, in quanto unici garanti della correttezza delle operazioni e giudici-arbitri della effettiva preparazione dei candidati.
Niente di più falso: un’esperienza trentennale di Esami di Stato ci induce ad affermare – senza alcun timore di essere smentiti – che molto spesso i docenti interni sono percepiti dagli esterni come commissari di serie B, difensori d’ufficio dei loro alunni; viceversa, gli interni avvertono nei colleghi esterni una certa sufficienza, un malcelato atteggiamento da censori per i quali gli alunni del vicino sono sempre meno bravi.
Ma può verificarsi anche un fenomeno di segno opposto: un docente che insegna in due quinte classi può incorrere nella disavventura di essere nominato commissario interno in entrambe. E, dato che spesso piove sul bagnato, potrebbe trovarsi ad operare su due diverse commissioni.
È esperienza di questi giorni: una delle due quinte nella quale il nostro malcapitato docente insegna, che chiameremo A, è fortunata. Il presidente e i commissari esterni non credono nella validità degli Esami di Stato, hanno fretta di completare le operazioni entro i primi di luglio, sono sbrigativi e si affidano totalmente al giudizio dei colleghi interni. Risultato: i ciechi vedono, gli zoppi camminano speditamente, i voti alti fioccano, aldilà di ogni migliore aspettativa interna. Insomma, una commissione “Disneyland”.
Completate le operazioni, il nostro bravo docente comincia i colloqui nell’altra sua quinta, che chiameremo B. Qui, tutta un’altra storia: presidente e docenti esterni sono molto più attenti a valutare le conoscenze dei candidati, il loro credito scolastico e la loro storia quinquennale valgono poco o niente, così come l’andamento del colloquio nelle materie dei docenti interni. Risultato: gli ipovedenti diventano ciechi e chi cammina col bastone finisce sulla sedia a rotelle. Voti bassi e al di sotto delle aspettative della scuola.
Insomma, una Commissione “gulag”. Ora, appare evidente che il sistema è malato, perché non si possono affidare alla dea bendata le sorti della quinta A e della quinta B: non è giusto, non è corretto, non è equo.
È tempo, dunque, di correggere un’evidente stortura del sistema. Come? Lasciamo la risposta – come compitino per le vacanze – agli esperti del MIUR, fiduciosi che, al rientro dalle vacanze estive, sapranno offrirci soluzioni alternative più rispettose del lavoro di tutti, studenti e docenti.
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