Facendo acquisti in un punto vendita di una catena della grande distribuzione (Coop, Esselunga, per esempio) si acquisiscono punti che possono essere destinati a una scuola.
L’istituto a questo punto può avere accesso a un catalogo predisposto dal supermercato stesso in cui scegliere fra materiale didattico, cartoleria, materiale informatico e per la pulizia a seconda del numero dei punti in suo possesso. In cambio la stessa scuola che aderisce all’iniziativa ospita materiale promozionale del supermercato.
Vita.it fa il punto su questa sorta di baratto fra scuola e supermercati, ma fa pure presente che si è accesso dibattito a cui partecipano sia i genitori che il corpo docenti. Ma non solo loro. Anche i fundraiser si sono sentiti chiamati in causa.
Massimo Coen Cagli, ideatore della scuola di Fundrasing di Roma, per esempio parla di «fallimento sotto il profilo della raccolta di risorse, del ruolo dei donatori e sotto quello della reale responsabilità sociale di impresa». Dal suo punto di vista infatti i vantaggi per le aziende in termini di fatturato e fidelizzazione sono notevoli, mentre quelli per la scuola e i genitori sono davvero minimi.
Ad oggi non si registrano sollevazioni da parte delle famiglie o delle associazioni dei genitori. Sotto sotto forse sono in molti a pensarla come la signora Simona che commentando il post di Coen Cagli scrive: « Purtroppo tutto ciò è “facile” da gestire per le scuole e le famiglie! Sono un’insegnante e un genitore impegnato nel comitato genitori. Organizzare una festa per raccogliere 400-500€ costa fatica, impegno e “un fegato così”! Chiedere a ogni famiglia di raccogliere punti, costa molto meno! Noi aderiamo solo a Coop a Esselunga e i premi in alta tecnologia servono davvero! Non sono un gran che, ma meglio di niente! Con i fondi raccolti dalle feste in due anni, compreremo due LIM».
Come dire, d’accordo le battaglia di principio, ma poi subentra anche una certa dose di pragmatico realismo, che potrebbe anche definirsi spirito di sopravvivenza, che in fondo non guasta.
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