Forse mai come quest’anno, l’assegnazione delle supplenze è stata costellata da una serie incredibile di errori dovuti sostanzialmente da un lato dalla pubblicazione frettolosa delle graduatorie, dall’altro da un algoritmo ministeriale tarato male.
Ciò ha comportato, in molte occasioni, all’assegnazione di supplenze a candidati che non ne avevano diritto e – conseguentemente- alla mancata attribuzione degli incarichi ai legittimi beneficiari.
Fermo restando il diritto dei docenti scavalcati in graduatoria di ottenere l’integrale ristoro dei danni subiti, ci si chiede quale sorte viene riservata a quei contratti stipulati per errore dell’Amministrazione.
In teoria, si potrebbe ritenere che – non avendo l’interessato diritto all’assegnazione della supplenza- quel servizio dovrebbe essere considerato come prestato “di fatto e non di diritto”, con esclusione dunque del riconoscimento del punteggio (servizio prestato ai soli fini economici).
C’è da dire, però, che i docenti che prestano servizio nelle scuole paritarie non vengono assunti sulla base di una graduatoria. Ciò nonostante, hanno pacificamente diritto al punteggio per il servizio prestato.
Riconoscere il diritto al punteggio a chi ha prestato servizio in una scuola paritaria (in cui la supplenza non viene assegnata sulla base di una graduatoria) e non riconoscere tale diritto al docente assunto da una scuola statale solo perché si è verificato un errore da parte dell’Amministrazione nell’attribuzione della supplenza, rappresenterebbe un’ingiusta e irragionevole discriminazione per i docenti delle scuole statali,
Il Testo Unico del Pubblico Impiego (D.Lgs. n. 165/2001) prevede all’art. 2 comma 2 che la regolazione dei rapporti di lavoro d’impiego presso la P.A. è demandata alla contrattazione collettiva.
L’ipotesi dell’errore nell’assunzione è regolata dall’art. 25, comma 5, del CCNL di comparto, che prevede che – in caso di errori- la P.A. datrice di lavoro puo’ procedere all’annullamento della procedura di reclutamento e, conseguentemente, alla risoluzione del contratto.
Coloro che non sono avvezzi all’uso della terminologia giuridica, potrebbero ritenere che tra risoluzione e annullamento non ci siano sostanziali differenze.
In realtà, ai sensi dell’art. 1458 del codice civile, “la risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica (qual è appunto il contratto di lavoro), riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”.
Dunque, per espressa disposizione legislativa –e in virtù del rimando del Legislatore alla contrattazione collettiva-, la risoluzione dl contratto implica che il contratto non viene annullato dall’origine, ma resta valido fino a quando non si è verificata la risoluzione.
Per questo motivo, non appaiono corretti i provvedimenti adottati da alcune scuole che dichiarano in questi casi che il servizio reso è valido ai soli fini economici, dunque senza riconoscimento di alcun punteggio.
Com’è noto, per quanto riguarda il personale Ata, la normativa relativa all’assegnazione delle supplenze è regolata dal DM n. 640/2017 (art. 7, comma 7) e, più recentemente, dal DM n.50/2021 (art.6, comma 15).
Tali disposizioni prevedono che l’eventuale servizio prestato dall’aspirante in assenza del titolo di studio richiesto per l’accesso al profilo e/o ai profili richiesti o sulla base di dichiarazioni mendaci, (…) sarà (…) dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che allo stesso non deve essere attribuito alcun punteggio”.
Dunque, secondo il Ministero -anche in caso di risoluzione del contratto- il punteggio potrebbe essere negato qualora la supplenza sia stata assegnata in assenza del prescritto titolo di studio o sulla base di dichiarazioni mendaci (per esempio, aver falsamente dichiarato di aver conseguito una specializzazione o un titolo aggiuntivo oppure aver dichiarato di aver conseguito il titolo di accesso con una valutazione superiore a quella effettiva, ottenendo così un punteggio superiore a quello cui si aveva diritto).
Per quanto riguarda i docenti, disposizioni sostanzialmente analoghe sono contenute nell’OM n. 60/2020, che all’art. 8 prevede che l’eventuale servizio reso sulla base di dichiarazioni mendaci sia dichiarato come “prestato di fatto e non di diritto”, dunque senza il riconoscimento di alcun punteggio.
In questo caso, vale la regola fissata dall’art. 25 del CCNL di comparto.
Le parti negoziali, consapevoli dei possibili errori delle scuole nell’assegnazione delle supplenze, hanno inteso salvaguardare il principio dell’affidamento, tutelando pertanto il dipendente che in buona fede ha confidato sulla validità del contratto, magari rinunciando ad altre opportunità di lavoro, a causa dell’avvenuta assunzione.
Proprio per questa ragione, le disposizioni ministeriali prevedono un controllo tempestivo sulla validità della domanda (e del punteggio assegnato) da parte del Dirigente Scolastico della scuola che procede all’assunzione.
In difetto di tale controllo, il Tribunale di Ravenna, con ordinanza n. 1626 del 6 giugno 2018, ha escluso la possibilità di revocare il punteggio a distanza di un anno dal conferimento della supplenza.
L’Ufficio Scolastico Regionale, con nota AOODRTO. REGISTRO UFFICIALE. U.0002662 del 2 marzo 2021, è intervenuto formalmente sulla questione, chiarendo che -in caso di errori nell’attribuzione delle supplenze da parte delle scuole- va riconosciuto il punteggio per il servizio prestato.
Il Direttore Generale dell’USR Toscana, Dott. Ernesto Pellecchia, nel diramare la nota, ha inteso precisare che “il servizio effettivamente prestato in virtù di un rapporto di lavoro, successivamente oggetto di risoluzione o recesso da parte della scuola, in conseguenza di una rettifica del punteggio e del conseguentemente riposizionamento in graduatoria, per cause non addebitabili all’interessato, produce effetti anche ai fini giuridici ed economici, per il periodo in cui vi è stata regolare prestazione lavorativa”.
Il Tribunale di Chieti, richiamando e citando espressamente la nota dell’USR Toscana, ha precisato che non si può certo attribuire alla violazione di norme regolamentari l’effetto di una “violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori” o di stipulazione di un rapporto di lavoro nullo per illiceità dell’oggetto o della causa.
Pertanto, “deve escludersi che sussistano valide ragioni giuridiche per disconoscere gli effetti giuridici del servizio effettivamente prestato in forza dei predetti contratti a tempo determinato (in conformità a quanto si legge, tra l’altro nella invocata nota Ufficio Scolastico Regionale della Toscana- prot. 2662 del 2 marzo 2021)”.
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