L’estate più calda di sempre non accenna passare, ma le aule son già piene di studenti e docenti. Eppure il problema del microclima scolastico non turba chi la Scuola deve amministrarla. Gli edifici scolastici italiani — in gran parte fuori norma quando non fatiscenti — non rispettano le indicazioni sul microclima nei luoghi di lavoro previste dal D.Lgs. 81/2008 (“Testo Unico sulla Sicurezza”, Allegato IV, 1.9). Anzi, la Scuola è forse l’unica istituzione italiana priva di climatizzazione.
Nel contempo il dicastero di Viale Trastevere preme sui dirigenti scolastici affinché inducano i docenti delle superiori a deliberare gli esami di sospensione del giudizio (un tempo “esami di riparazione”) a luglio o agosto; a dispetto di logica, normative, esperienza didattica e scuole fuori norma.
Logica e didattica dicono che le alte temperature e l’umidità limitano concentrazione, motivazione allo studio, attenzione: lo dimostrano studi statunitensi. Motivo per cui anche le legge italiana — pur scritta ben prima che ci si preoccupasse del riscaldamento globale — prevede che nessuna attività didattica si svolga a luglio e agosto: il D.Lgs. n. 297/1994 (“Testo Unico” della Scuola, art. 74, comma 2) stabilisce che «le attività didattiche, comprensive anche degli scrutini ed esami, si svolgono nel periodo compreso tra il primo settembre e il 30 giugno, con eventuale conclusione nel mese di luglio degli esami di maturità». Perché questa norma, stabilita già un trentennio fa? Forse perché gli insegnanti sono ”privilegiati” (come vuole la leggenda metropolitana italiota)? O semmai perché le estati italiane, già prima del surriscaldamento globale, son sempre state troppo calde per tenere docenti e alunni chiusi nelle aule a fare scuola?
Tutte le scuole europee (persino nei Paesi che investono molto più del nostro nell’istruzione) sono inadeguate di fronte al pericolo rappresentato dal global warming. In tutta Europa, però, i governi si stanno ponendo il problema dell’inadeguatezza delle scuole, che minaccia non solo l’efficacia dell’azione didattica, ma soprattutto la salute di studenti e docenti; soprattutto dei docenti italiani, la cui età media è altissima: gli insegnanti italiani over 50 sono il 57,2%, mentre in Europa sono il 36%.
Inoltre in tutto il mondo si sa che la professione docente è una delle più soggette a logoramento psicofisico: tuttavia gli insegnanti italiani sono costretti a lavorare fino alla soglia dei 70 anni. Urge pertanto rifletter seriamente sulla questione climatica: a meno che tutto ciò — ma non vogliamo crederci — non sia un piano premeditato per farli morire sul lavoro (o poco dopo la quiescenza), onde non pesino troppo sulle casse dell’INPS.
Esposti a conseguenze nefaste del caldo eccessivo, difatti, sono soprattutto i lavoratori con malattie cardiovascolari, patologie tiroidee, diabete, obesità, bronchite cronica e asma: il rischio d’insorgenza di tutto ciò aumenta ovviamente con l’età. In pericolo sono però anche i docenti giovani e sani, nonché gli alunni: infatti, con un’esposizione di tre ore a temperature di 35 gradi Celsius con umidità del 100%, anche un organismo umano in ottime condizioni di salute non si refrigera più mediante la sudorazione, e può subire colpi di calore con conseguenze letali. La temperatura corporea sale fin oltre i 40°C, e tale ipertermia può causare (anche nei bimbi), calo pressorio, cecità temporanea, vomito, nausea, convulsioni, blocco degli organi interni e coma. Fino alla morte.
Orbene, la responsabilità della salute del personale scolastico è assegnata al dirigente scolastico dal già citato D.Lgs. 81/2008. L’amministrazione sta dunque scaricando sui dirigenti l’onere (e il rischio) di costringere i docenti a deliberare gli esami di “riparazione” in luglio e agosto, in condizioni climatiche proibitive? Pretesa coerente con alcune dichiarazioni di implicito negazionismo climatico provenienti dall’attuale compagine governativa?
I giornali vicini alla medesima compagine si distinguono, infatti, per un’aggressiva campagna negazionista, che ignora i dati scientifici, scambia gli interessi dei petrolieri per “opinioni diverse” e dà del “gretino” chiunque li contraddica. Sul cambiamento climatico, il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha testualmente dichiarato: «Non so quanto sia dovuto all’uomo e quanto al cambiamento climatico». Dichiarazione sorprendente: tautologia a parte, di fatto il ministro dell’ambiente dichiara ore rotundo di ignorare l’ecologia al punto da non saper distinguere le opinioni negazioniste dai dati scientifici.
Se lo facesse un insegnante, se ne reclamerebbe a gran voce il licenziamento.
Alessandro Manzoni narra che don Ferrante, sulla base di ragionamenti astrusi, non credeva alla pestilenza: «His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle».
Cosa fa l’attuale governo per la mitigazione del riscaldamento e per l’adattamento del territorio? Investe sui combustibili fossili e pensa a costruire ponti giganteschi anziché acquedotti. Cosa fa per adattare le scuole? Tenta di obbligare docenti e studenti a stare in classi-fornace anche sotto il solleone e l’anticiclone africano.
È dunque lecito sperare che la linea governativa sul surriscaldamento globale non sia la medesima di don Ferrante, visto che a rischiare una brutta fine, in tal caso, sarebbe l’intero Paese?
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