Linkiesta.it si pone il problema degli 8mila bambini milanesi che frequentano le scuole paritarie e che se si dovessero trasferire nelle scuole comunali, Palazzo Marino dovrebbe reperire 56 milioni di euro, dato che un iscritto alla materna costa 7mila euro all’anno.
Allo stesso modo, a livello nazionale, se si dimezzano i 500 milioni di euro per le paritarie, quel milione di studenti che le frequenta sarebbero costretti a riversarsi nelle scuole statali con un aggravio per lo Stato, scrive sempre Linkiesta.it, di quasi 7 miliardi aggiuntivi: molto di più dell’Imu o dell’aumento Iva di cui si è tanto discusso.
Ma il tema è soprattutto un altro, sottolinea il giornale online
Queste scuole, negli ultimi anni, hanno fornito un valido ambiente educativo per un numero sempre maggiore di bambini che faticavano a trovare un corretto e intenso supporto in altre scuole.
Invece, secondo il Linkiesta.it, in Italia saremmo ancora imbrigliati nel comprendere cosa sia servizio pubblico e come debba essere salvaguardato, valutato e controllato. Non è ancora patrimonio comune e condiviso che la scuola come l’università o gli ospedali, che rispondono a criteri che lo Stato o gli enti locali impongono, sono un servizio pubblico, che siano gestiti da privati o direttamente dell’ente pubblico.
Quest’ultimo ha dimostrato di non essere un buon gestore e sarebbe forse il momento di concentrarsi maggiormente su funzioni di controllo e valutazione. Magari obbligando chi riceve contributi pubblici ad attuare politiche di sostegno al reddito attraverso borse di studio o rette agevolate per una percentuale definita delle famiglie iscritte. Vincolando l’erogazione dei finanziamenti a seri standard qualitativi e a risultati formativi in uscita.
Tuttavia il problema che Linkiesta pone non considera l’elemento chiave di tutta la questione, vale a dire il reclutamento dei docenti e i contenuti dell’insegnamento. La cosiddetta libertà educativa presuppone una ideologia guida per implementare quella “libertà”, per cui la chiamata dei professori non potrà mai avvenire su parametri “oggettivi”, ma su verifiche culturali funzionali a quel progetto educativo. Ciò significa che i docenti dovranno rispondere al diktat “ideologico” della scuola che li recluta e non alla loro libera “libertà di insegnamento”.
Con la sanità invece, tranne casi rari di obiezione di coscienza su temi etici, il medico di cultura islamica o ebraica o agnostica opera con gli stessi strumenti scientifici del suo collega cattolico, comunista o anche rapper, purchè sia preparato e abbia i titoli, compresa l’abilitazione alla professione
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