Con la sentenza 5011/2014, il Tar del Lazio ha ritenuto che per partecipare al concorso per presidi può essere ritenuto valido anche il periodo di precariato perché equivalente a quello svolto dai colleghi di ruolo: due insegnanti oggi ancora precarie, che nel 2011 avevano presentato ricorso e superato tutte le prove preselettive e d’esame, si sono così viste sciogliere la riserva d’accesso al concorso dovuta al difetto, rivelatosi erroneo, della soglia minima dei cinque anni di servizio di ruolo. E siccome le due prof hanno anche vinto il concorso, ora diventeranno a tutti gli effetti dirigenti scolastici.
In pratica, per il Tar il servizio prestato da precario o post-ruolo va considerato allo stesso modo: esattamente come avviene con i titoli accademici di accesso. Come del resto indicato dall’Unione Europea, non esiste alcuna ragione giustificata per discriminare i precari della scuola. L’Anief ha sempre creduto a questa linea, tanto da attivare il ricorso su cui nelle ultime ore il tribunale si è espresso positivamente.
“Dopo anni di supplenze – spiega con soddisfazione Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – le due meritevoli insegnanti si ritrovano oggi dall’altra parte della scrivania. Ciò è avvenuto grazie ad una sentenza che prende atto di altre pronunce della Corte di Giustizia europea e disapplica la normativa nazionale consentendo alle candidate, all’inizio escluse, che hanno superato tutta la procedura concorsuale, di cambiare mestiere. Confermando che la precarietà lavorativa rimane un paradosso tutto italiano”.
La decisione del Tar del Lazio rappresenta una pagina storica per la giurisprudenza italiana: si deve anche alla caparbietà dell’Anief e dei suoi legali, gli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, che nell’invocare il principio di non discriminazione formatosi intorno all’applicazione della direttiva 1999/70/CE hanno permesso a diversi precari con più di 5 anni di servizio di presentarsi all’ultimo concorso per diventare dirigente scolastico. Ora, due di essi sono riusciti a superare tutte le prove e dopo quasi tre anni di battaglia legale finalmente è stata emessa la sentenza che rende loro giustizia.
“È arrivato il momento – continua Pacifico – di prendere atto della giurisprudenza comunitaria e dell’esistenza di un’Europa dei diritti che i più conoscono, ma per la cui applicazione bisogna ancora lottare al fine di riuscire a far rispettare la dignità dell’uomo e del suo lavoro. È il caso di ricordare che prima di tutto stiamo parlando non di due precari che diventano presidi, ma di due professionisti che dopo tanti anni di supplenza – conclude il rappresentante Anief-Confedir – hanno maturato conoscenze e competenze tali da essere in grado di dirigere una scuola”.
Nell’estate del 2011 viene bandito il concorso per diventare dirigente scolastico attraverso il D.D.G. del 13 luglio 2011: sono 2.386 i posti messi a disposizione. Due i requisiti d’accesso: il possesso del diploma di laurea ed essere insegnante di ruolo da almeno cinque anni.
Subito l’Anief si accorge che questo secondo requisito, i cinque anni di servizio riservati al personale di ruolo, discrimina il servizio prestato a tempo determinato perché viola la direttiva 1999/70/CE e pertanto consiglia a tutti i docenti precari o neo-immessi in ruolo con cinque anni di servizio prestato nel pre-ruolo di presentare, comunque, la domanda di ammissione al concorso.
Il Miur, sebbene diffidato, non consente la trasmissione della domanda attraverso il sistema Istanze on line, così i ricorrenti sono costretti ad inviare la domanda cartacea sostitutiva predisposta dall’Anief.
Nelle settimane successive, prima dell’inizio della selezione pubblica, i ricorrenti, assistiti dagli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, ottengono un’ordinanza cautelare confermata dal Consiglio di Stato che gli permette di accedere con riserva alle prove preselettive, agli scritti e agli orali.
In media, uno su quindici riesce a superare il concorso, ma con riserva della sentenza di merito che dopo l’udienza del 10 gennaio 2013 è pubblicata il 4 settembre 2013. Il ricorso è accolto perché “neppure basta a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato il fatto che tale differenza è stata prevista da una norma nazionale generale e astratta quale una legge o un contratto collettivo”.
D’altronde, la giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia, con la sentenza nel procedimento C-177/10, pubblicata in data 08/09/2011, “ha inequivocabilmente sancito il principio secondo il quale, nei concorsi pubblici, il servizio pre-ruolo deve essere valutato come quello di ruolo”.
Anche un’ulteriore sentenza della Corte di Giustizia (Sesta Sezione del 18/10/2012 intervenuta nei procedimenti C-302/11 e C-304/11) ha ribadito gli stessi orientamenti con ulteriori specificazioni.
Ora, con la sentenza 5011/2014, il Tar conferma che l’Italia non ha altra scelta che adeguarsi alle direttive UE: nel nostro ordinamento viene così accolto il principio comunitario di non discriminazione anche sui concorsi pubblici, finora richiamato nelle cause di lavoro sulla successione dei contratti a termine.
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