Lo studente universitario spende in media oltre mille euro l’anno (precisamente 1.035 euro) solo per coprire le spese legate e tasse e contributi accademici: la stima, in deciso aumento rispetto all’anno precedente (quasi il 10%), si può estrapolare dalla relazione “Relazione economica sulla situazione economica del Paese” pubblicata in questi giorni dal ministero dell’Economia che ha come ultimo riferimento l’anno 2007.
Facendo una disamina dal 2002 (quando la media di tasse universitarie annue era solo di 742 euro) si scopre che il trend di aumenti per i contributi studenteschi “alle risorse delle università attraverso il pagamento delle tasse obbligatorie ai fini dell’iscrizione e ad altri contributi finanziari” è stato sempre positivo. Ma ha subito degli scostamenti: è passato infatti dal minimo del 2004, quando rispetto all’anno precedente fece registrare un incremento appena sopra al tasso d’inflazione (+3,2%), all’aumento record di quest’anno (+9,9%).
Ovviamente anche i milioni di euro spesi dagli iscritti universitari (“nel complesso delle università statali e non statali – sottolinea il rapporto ministeriale – ivi comprese le università telematiche che sono in sensibile espansione”) hanno subìto un’impennata considerevole: dai 1.404 del 2002 sono passati ai 1.747 del 2005 fino ai 2.088 di due anni fa. In pratica, in appena cinque anni ogni famiglia italiana ha dovuto investire per mantenere i propri figli all’Università solo per le tasse (poi ci sono i costosi libri di testo, gli affitti per i fuori sede, la mensa, ecc.) ben 293 euro in più. Che corrisponde ad un incremento appena mezzo punto inferiore al 40%.
Se però le tasse aumentano inesorabilmente, lo stesso non si può dire per la quota del “Prodotto interno lordo” destinata a finanziare il sistema universitario: che infatti dal 2002, dopo aver fatto registrare dei decrementi, è ritornata alla stessa incidenza (lo 0,80%). Un valore su cui i finanziamenti privati continuano ad incidere peraltro più meno solo per un terzo.
La discrepanza tra gli investimenti statali rispetto a quelli delle famiglie (o dagli stessi iscritti, quando si tratta di studenti lavoratori) non viene rilevata dal ministero dell’Economia. Il quale, anzi, si lascia andare ad un commento incentrato più sull’ottimismo piuttosto che sulla discrepanza rispetto alla sensibile richiesta di collaborazione finanziaria realizzata nei confronti delle famiglie italiane. “Per quanto riguarda l’incidenza della spesa per l’istruzione universitaria – si legge nel rapporto – sul complesso della spesa pubblica si osserva infine, dopo una crescita avvenuta fino all’anno 2000 ed una successiva fase di stazionarietà, un valore nuovamente in crescita (1,66% nel 2007)”. Evidentemente, visti i tempi che corrono, già questo può essere considerato un successo. Un ragionamento che tuttavia non piacerà alle famiglie. Quelle che, in pratica, sono state nel frattempo chiamate a compensare il divario tra i costi in aumento della “macchina” universitaria e gli investimenti fermi – se va bene – di quella statale.