Estero

Tasse universitarie troppo alte in Europa, calano gli iscritti: per alcuni studenti non vale la pena continuare gli studi

Il Vecchio Continente, a livello economico e di approvvigionamento strategico, è alle prese con una recessione che favorisce inflazione e conseguente polverizzazione del potere d’acquisto del ceto medio, spesso in grave difficoltà nel sostenere i costi non solo dei beni di prima necessità, ma anche dei servizi e dell’istruzione, sempre più costosi. Gli Atenei, nella stragrande maggioranza dei paesi d’Europa, risultano accessibili previo versamento di contributi non indifferenti sulla base di vari indicatori fiscali, economici e sociali. Il rialzo di questi ultimi a livello continentale sta provocando una tragica regressione delle iscrizioni alle facoltà universitarie – in particolare quelle attinenti alle discipline STEM (scientifico-tecnologiche ad elevata specializzazione) – provocando non poche problematiche: il calo del tasso dei laureati per popolazione negli stati europei – il caso dei paesi mediterranei preoccupa le autorità trattandosi del tasso più basso registrato – comporta anche il mancato ricambio generazionale per professioni a rischio sopravvivenza e specializzazioni particolari.

La barriera economica circa le imposte da versare a favore dei vari Atenei non è presente – o se lo è solo per minima parte – nelle Repubbliche Baltiche, in Polonia, Irlanda ed Islanda, ove non sono previste rate da saldare, con l’eccezione delle ripetizioni di esame/corso per le quali son previsti importi forfettari a carico dello studente.

Il caso anglosassone

L’istruzione superiore è costosa a causa delle tasse universitarie e delle spese di soggiorno sostenute da studenti e famiglie. L’onere del debito è un fattore significativo che può influenzare le decisioni dei singoli individui di investire nell’istruzione universitaria e superiore. Nel Regno Unito, ad esempio, un quarto degli studenti non pensa che valga la pena andare all’università visti i costi elevati, ha rilevato l’indagine Ipsos in un recente sondaggio del maggio 2023. Le ragioni principali di questa opinione sono le tasse (49%) e il debito per i prestiti studenteschi (42% . Più di un terzo (37%) ritiene inoltre di non aver bisogno di andare all’università per trovare un buon lavoro ed adeguatamente retribuito.

Nel 2016, la ricerca di Aviva aveva rivelato che più di un millennial britannico su tre (37%) (18-35 anni), che aveva frequentato l’università, si pentiva di averlo fatto a causa del livello di debito economico in cui si trova ora. Secondo il rapporto National Student Fee and Support Systems in European Higher Education – 2020/21 della Commissione Europea/EACEA/Eurydice, gli studenti domiciliari a tempo pieno non pagano tasse nei programmi del primo ciclo in sette dei 42 sistemi di istruzione superiore in tutta Europa. Si tratta di Danimarca, Repubbliche Baltiche, Grecia, Cipro, Malta, Finlandia, Polonia, Svezia e Turchia. Anche in Norvegia non ci sono tasse negli istituti pubblici di istruzione superiore. Al contrario, in 12 sistemi di istruzione universitaria, tutti gli studenti del primo ciclo versano le imposte. Si tratta del Belgio (comunità tedesca e fiamminga), Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito (Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord), Albania, Italia, Svizzera e Islanda.

Gli effetti sul tasso dei laureati

Le tariffe annuali universitarie sono le più alte in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord rispetto a tutta Europa. In Inghilterra, le tasse per le residenze universitarie sono attualmente limitate dal governo a £ 9.250 (€ 10.737). Nell’anno accademico 2022-23, il prestito medio devoluto a studenti e rispettive famiglie per le tasse universitarie è stato di £ 8.230 (€ 9.446) in Inghilterra, £ 8.410 (€ 9.653) in Galles e £ 5.490 (€ 6.301) in Irlanda del Nord, secondo la Student Loans Company. Le tasse universitarie sono state abolite per gli studenti scozzesi che seguivano percorsi di formazione nei rispettivi Atenei. Secondo il rapporto EACEA/Eurydice, le tasse più comuni superavano i 2.000 euro anche in Islanda, Paesi Bassi e Danimarca. Secondo tale dinamica, il tasso della popolazione che ha concluso almeno uno dei due livelli di studio universitario è in notevole decrescita.

Nel Belpaese ad ammortizzare tale disagio economico percepito dalle famiglie in difficoltà sono le varie borse di studio messe a disposizione dagli Enti Locali. Di recente, a seguito dell’inflazione, gli Atenei italiani hanno modificato le aliquote per il calcolo delle imposte universitarie attraverso i valori ISEE delle famiglie di riferimento (oltre + 6 %); ciò scoraggia ulteriormente gli studenti appena diplomati ad intraprendere un percorso di studi in un paese che già si trova, in termini del tasso di popolazione laureata, sotto la media europea. 

Andrea Maggi

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