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Tecnocrazia e digitocrazia: evoluzione o imbarbarimento?

Dopo la pubblicazione degli altri due interventi sul tema dell’uso dei cellulari a scuola, pubblichiamo il terzo intervento di Mara Massai, sociologa, dottore di ricerca in Criminologia, esperta in Tecniche Investigative in Criminologia e Vittimologia

Ma l’innovazione non può essere declinata a partire da un bisogno indotto dal sistema per il raggiungimento di un livello di omologazione che non tiene conto dei contenuti del sapere storico e culturale di ogni popolo e di ogni nazione, misurando l’innovazione in base ai soli progressi nel campo dell’uso e della diffusione dei mezzi tecnologici e degli strumenti digitali e dell’estensione delle competenze informatiche che rimangono comunque, o meglio dovrebbero rimanere, nella categoria dell’ ”accessorialità” al servizio dell’uomo e della scienza, non un idolo da cui essere dominati.

Perché la capacità critica che la ministra raccomanda come essenziale e dirimente nei processi di apprendimento, come realmente dovrebbe essere , assume nell’enunciato del testo in questione un ruolo inutile ed eccedente rispetto alle istruzioni per l’uso del cellulare impartite dalla ministra stessa nel decalogo.

In questo modo, l’accessorialità dei mezzi e degli strumenti dell’informatica e della tecnologia digitale assumono un ruolo centrale, onnipotente al punto di arrogarli al ruolo di “Maestri”; un ruolo sovrastante la dimensione umana in un campo così delicato e speciale come quello dell’educazione e della formazione dei ragazzi e degli adolescenti.

E purtroppo non giova neppure alla formazione dei docenti, esclusa quella tecnicistica e multimediale, i quali nel ruolo di guide all’uso del cellulare, nelle ore di lezione vengono demansionati rispetto al ruolo di “maestri di vita”, divenendo essi stessi strumenti di un meccanismo che sostituisce ed ingloba il dialogo e le relazioni. Ben lungi dagli stessi intenti espressi dalla ministra, nell’intravedere questa modo di fare didattica, attraverso l’uso guidato del cellulare, come fattore di condivisione e confronto fra gli studenti con i docenti, una didattica così concepita viene a rafforzare e consolidare un rapporto di solipsistica dipendenza “condivisa” in modo inter-social mediato che si profila in continuità dal privato al pubblico.

Questa è piuttosto la migliore via per l’assopimento della capacità critica e per la conformazione ad un modello educativo dei cittadini di domani che ripropone la sudditanza dell’uomo all’evoluzione della meccanica e della robotica e ad una incrementale conformazione dell’uomo con il suo prodotto.

Che ruolo e che posizione potranno occupare nell’olimpo dei bisogni di un uomo cosificato il riconoscimento del proprio valore e del valore dell’altro da sé, l’empatia, la compassione, la relazione umana? L’anestesia dei sentimenti e delle emozioni, dell’affettività hanno facilitato a livello intergenerazionale, insieme alla trasmutazione dei valori, anche il consolidamento di un modello di uomo meno spirituale fino al punto da renderlo esso stesso un semplice congegno dell’intero processo produttivo.

Ma da questo nuovo modello, sempre meno spirituale di uomo, sono derivati bisogni molto meno rivolti alla realizzazione della sua vera primordiale essenza e sempre più funzionali ai criteri dettati dal sistema socio-politico economico di riferimento, che con la globalizzazione ha assunto la connotazione di planetario. Una sorta di Leviatano che ha sottomesso l’umanità a corrispondere sempre più a criteri efficientisti ed edonistici, alla soddisfazione immediata degli istinti e delle pulsioni, alla competizione sui mezzi a disposizione per il raggiungimento di traguardi individuali che creano quella distanza costante nelle relazioni interpersonali e sociali del nostro tempo, tale da giustificare nella ricerca del traguardo perfino l’annientamento dell’altro da sé.

A questo punto non credo che le preoccupazioni della ministra dovrebbero essere quelle di istituire una nuova modalità didattica gestita dagli studenti e dai docenti, la cui professionalizzazione in questa visione si è essenzialmente ridotta a “mezzo” per l’uso guidato del cellulare in classe nelle ore di lezione. Perché l’innovazione, con la pervasiva introduzione della tecnologia digitale in cattedra nelle classi sotto la guida dei docenti, non può rappresentare una bandiera in nome della quale sostituire completamente le tradizioni popolari, i modelli culturali e religiosi dei vari popoli e delle varie nazioni, con interpretazioni affidate alla predominanza di nuove forme di trasmissione del sapere attraverso fonti digitali in cui, oltretutto, bisogna fare i conti anche con la presenza delle fake news.

Altra preoccupazione, che ha generato un altro precedente decalogo a doppia firma Fedeli-Boldrini, oggetto di commenti giornalistici non proprio favorevoli, considerando, oltre tutto, le ingenti risorse stanziate per una fake resolution, fondata sul presupposto che sia possibile, a mezzo di interventi basati sulla trasmissione di informazioni in classe , sempre nelle ore di lezione, da parte di personale mono-specializzato esterno, autorizzato a vario titolo dal MIUR, la remissione degli errori e dei pericoli della rete a cui i ragazzi e gli adolescenti sono esposti. Quasi che l’esperto della rete o il poliziotto, oltre alle conoscenze tecnologiche, digitali e giuridico-legali, potessero avvalersi di super-poteri in grado di trasformare come per incanto istantaneamente gli studenti in super men e super women in grado di riconoscere gli inganni e i pericoli della rete virtuale, fino al giorno prima ingestibili in autonomia.

Il paradosso risiede proprio nel fatto che da una parte, si vuole assolutizzare l’uomo, web social maker e poliziotto, attribuendogli super poteri che per natura non possiede e dall’altra, si tende a svalorizzare l’enorme potenziale delle risorse umane che ogni essere vivente ha in dotazione fin dalla nascita e che con una corretta educazione e formazione può sviluppare secondo le proprie attitudini, il proprio carattere e la propria intelligenza fino alla completa maturazione della consapevolezza, della capacità critica, della responsabilità e dell’autonomia. Questo si verifica tuttavia, solo nel caso che nella famiglia e nella scuola si adottino modelli educativi e formativi che non si avvalgano di scorciatoie pericolose o, peggio ancora, destabilizzanti delle personalità dei soggetti in età evolutiva.

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