La notizia, riportata da Il Messaggero il 21 settembre scorso, è di quelle “forti” (sebbene sia passata un po’ troppo in sordina): il Comune di Roma installerà telecamere in decine di scuole della Capitale. Decisione presa in accordo col dicastero di Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, per contrastare lo spaccio di droga. Il 20 settembre la Prefettura ha ricevuto una prima lista di una trentina di istituti.
In totale, però, le scuole segnalate da Polizia locale e municipi sono 51; presto, dunque, questo potrebbe essere il numero effettivo di scuole corredate di telecamere.
Della lista fanno parte anche licei prestigiosi: come il Liceo Scientifico “Cavour”, a due passi dal Colosseo, dove insegnò il Professore di storia e filosofia Gioacchino Gesmundo, partigiano, assassinato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, a 36 anni, perché antifascista; il Liceo Classico “Virgilio”, celeberrimo e storico istituto del Centro; il Classico “Seneca”, del quartiere Aurelio; lo Scientifico “Levi Civita” nel popoloso quartiere Prenestino; il Linguistico “Montessori” e lo Scientifico “Avogadro” nell’elegante quartiere Trieste.
A ottobre esperti del Ministero dell’Interno valuteranno l’avanzamento del progetto, definito “Scuole sicure” (per il quale sono stati stanziati 2,5 milioni di euro). Si va dunque spediti nella direzione voluta dal Ministro Salvini: che già giugno, sull’onda emotiva degli episodi di violenza da parte di alcune maestre sui propri piccoli alunni, aveva auspicato l’installazione di telecamere persino negli asili. Lo stesso Salvini, poi, ai primi di settembre definì “emergenza” lo spaccio nelle scuole.
Eppure proprio dal mondo della Scuola si levano voci di protesta, anche molto autorevoli (malgrado la sensazione di protezione dalle violenze degli stessi alunni che la presenza di telecamere potrebbe indurre nei docenti). Critico è per esempio Mario Rusconi, ex docente di lettere classiche e presidente dell’ANP, che ha chiosato: «Siamo per garantire la sicurezza, ma non per il grande fratello». Ed ha aggiunto che le telecamere nelle scuole violano «l’assetto e l’azione educativa propri della funzione della scuola», mentre sarebbe meglio posizionarle nelle «adiacenze delle scuole (strade, cortili e piazze)». Rusconi auspica piuttosto «un numero maggiore di bidelli formati all’azione di controllo senza per questo trasformarli in vigilantes», raccordando il loro lavoro con la polizia, la quale deve operare comunque fuori dalle scuole.
Sulla medesima linea un’altra docente, l’ex deputata M5S Silvia Chimienti, la quale fin da giugno ha ricordato che proprio la sua forza politica nella legislatura precedente aveva combattuto un ddl della deputata di Forza Italia Gabriella Giammanco, favorevole alle telecamere negli asili. Esse, secondo Chimienti, non riducono i reati (che possono continuare a compiersi in posti inaccessibili alle telecamere, come i bagni); ledono il diritto alla privacy (infatti le immagini possono vederle solo polizia e magistrati in caso di denuncia, non per spiare studenti, genitori, docenti); aumentano la sfiducia reciproca (tipica di società in cui ci si sente controllati e osservati, e dunque ostile ad un clima educativo sereno); costano somme ingenti, che potrebbero investirsi, ad esempio, per diminuire il numero di alunni per classe, aumentando nel contempo i posti di lavoro.
In effetti, se si pensa agli oltre 724.000 euro che il Viminale ha messo a disposizione del Campidoglio per impiantare telecamere nelle scuole (e ai soli 70.000 destinati a interventi didattici contro le droghe), come dare tutti i torti a chi critica tale scelta?
Le scuole italiane sono fatiscenti; i docenti delle Superiori sono costretti spesso a insegnare contenuti difficili a classi di 30-35 adolescenti, in aule assolate, arroventate d’estate o troppo fredde d’inverno, con le finestre aperte per non morire soffocati, malgrado l’aria inquinata ed il chiasso infernale dell’esterno. Non sarebbe meglio, ad esempio, spendere tutti quei soldi per dotare gli edifici scolastici di aria condizionata (alimentata magari con pannelli solari autonomi)? O quanto meno per adeguarli alle norme europee sulla sicurezza?
Siamo poi proprio sicuri che il securitarismo e la repressione nella Scuola non siano antieducativi? E che quindi non generino piuttosto l’effetto contrario a quello desiderato?
Di “militarizzazione delle scuole” ha infatti parlato Giovanni Caudo, presidente del Municipio III di Roma (Montesacro), che definisce il progetto “inadeguato e controproducente”, anche perché «solo il 5% delle risorse stanziate può essere destinato a progetti educativi di prevenzione», mentre mancano «interventi di riqualificazione delle aree depresse del territorio».
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