I lettori ci scrivono

Telecamere a scuola, e se un graffio al bambino fa diventare la maestra “violentatrice”?

Fermatevi, la videosorveglianza è un pugno allo stomaco al patto educativo di corresponsabilità.

Un clima sereno ed educante si raggiunge con la presenza dei genitori e il coordinamento/supervisione di un Pedagogista.

Il disegno di legge n. 2574 “Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale”, é stato approvato alla Camera con 410 voti a favore, una larghissima maggioranza, che ha inviato il testo al Senato per la definitiva approvazione.

L’art. 1 del testo richiama il patto educativo di corresponsabilità (del quale è evidente la non conoscenza del significato) per poi proporsi di prevenire, contrastare la violenza ai danni di minori, anziani e disabili con l’uso di telecamere anche ai fini probatori.

Il patto di corresponsabilità educativa, richiamato nell’art. 1, ha come condizione primaria proprio la reciproca Fiducia tra coloro che lo firmano, mentre l’installazione di videocamere a scopo probatorio rappresenta l’esatto contrario. Una prospettiva inquietante, che scava un baratro tra insegnanti e genitori, instaurando un clima di sospetti e amplificando i mille episodi di conflitto, che potrebbero essere risolti con la presenza di professionalità adeguate, capaci di creare ponti ed occasioni di incontro. Di piccoli litigi le scuole sono piene, ma se un bambino dovesse tornare a casa con un graffio, chi salverebbe la maestra dal sospetto di “violentatrice”?

Anche se si tratta di una prima sperimentazione e saranno le amministrazioni a decidere se partecipare o meno al progetto, il PDL prevede la partecipazione delle famiglie alle decisioni relative all’installazione e all’attivazione dei sistemi di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia, ma non quella degli educatori, né delle insegnanti, rimarcando ancora una volta una separazione tra due fronti contrapposti laddove, invece, sarebbe auspicabile fiducia e collaborazione.

Tutto ciò impedendo la possibilità di trovare soluzioni alternative, come prevedere una maggiore partecipazione dei genitori alla vita del nido? Una maggiore loro presenza e coinvolgimento alle attività e alla progettazione educativa? Facendo sì che questi importanti servizi non siano il luogo in cui i bambini vengono lasciati come pacchi postali, per poi essere ritirati al suono della campanella.

Riscoprendo fondamentali momenti di condivisione della vita del nido, nei quali spesso le educatrici fanno fatica a coinvolgere i genitori, spiegando l’importanza che la presenza e la partecipazione del papà e della mamma, riveste per la crescita del bambino, e di quanto questo possa costituire una gratificazione per la loro azione educativa.

Risibile, se non paradossale, l’introduzione della “valutazione attitudinale per l’accesso alle professioni educative e di cura”, in quanto il Governo non sa o fa finta di non sapere, che abbiamo dovuto lottare per 20 anni per ottenere una norma di riconoscimento professionale che prevede seri studi accademici, tirocinio formativo, laurea triennale più specializzazione o, laurea quinquennale più specializzazione, introdotta pochi mesi orsono dalle recenti leggi 205/17 e 65/17. Non si può far finta di nulla.

Entrambe le recenti normative, mettono fine all’abusivismo professionale in ambito educativo, stabilendo una seria selezione attitudinale fatta da anni di studio accademico e tirocinio in servizio con la supervisione di un pedagogista o di un insegnante.

Quali sarebbero gli “adeguati requisiti” (art.2, comma a) e chi li accetterebbe? E in quale modo? E chi verificherebbe i requisiti di chi ha il compito di accertarli? Il Governo non lo dice, ma speriamo che non si tratti dei soliti test psicologici della cui fallacità e inconcludenza sono pieni gli scaffali.

Al comma c si prevede la formazione continua degli operatori, ma qui nessuna novità di rilievo, al comma d si prevedono incontri periodici degli operatori in “equipe”! Perché dicono, in equipe si cresce professionalmente. Evidentemente non sanno che il lavoro di formazione pedagogico, prevede tutto questo e molto altro ancora, ma preferiscono installare un costosissimo sistema di videosorveglianza, in pochissime scuole , invece di prevedere la presenza del coordinatore pedagogico, vera rivoluzione istituzionale, che oltre a prevenire situazioni di disagio e difficoltà di gestione della classe, trasforma il contesto da assistenziale/custodialistico in educativo/pedagogico, mettendo al centro la crescita del bambino in un’alleanza educativa scuola/famiglia che si basa sulla stima, sulla fiducia e sulla condivisione del progetto educativo.

Motivo di tale urgenza, sono gli episodi di cronaca in cui “sembrerebbe” che la scuola sia diventata un vero campo di battaglia, una sorta di grande sceneggiata napoletana, in cui tutti picchiano tutti: mamme che picchiano le maestre, maestre che picchiano i bambini, aule scolastiche trasformate in campi di sevizie e torture! Senza dubbio gli episodi di violenza esistono e il problema va risolto, perché tocca l’incolumità di esseri innocenti e indifesi, tocca lo sconforto, proprio per il “tradimento” di quella fiducia su cui si fonda il rapporto tra genitore e maestra.

I fatti sono gravi e vanno attenzionati studiando le risposte più adeguate ed efficaci affinché singoli episodi spregevoli e assolutamente deprecabili non abbiano mai più a ripetersi.

Tuttavia, stupisce che il Governo creda di poter risolvere il problema dei maltrattamenti ricorrendo all’uso delle telecamere. Senza dubbio è necessario un adeguato controllo sulla gestione e sul personale delle strutture educative, ma tale controllo non deve e non può essere affidato all’occhio sterile e freddo di una telecamera; tale sistema, infatti, è stato dimostrato non servire in alcun modo alla prevenzione delle violenze, consentendo l’intervento sempre e comunque a danno già compiuto. Crediamo, piuttosto, sia necessario assicurarsi che nei nidi lavori esclusivamente personale qualificato, come Educatori professionali socio-pedagogici e Pedagogisti.

Professionisti di livello accademico (come le recenti leggi prevedono n. 205 e n. 65 del 2017), in grado di leggere i bisogni educativi e di dare le giuste risposte, adeguatamente formati e in costante aggiornamento professionale, con un valido coordinamento pedagogico dato da pedagogisti con esperienza.

Siamo l’unico paese al mondo che pensa di eliminare il problema creando il “Grande Fratello” sin dai nidi, piuttosto che puntando su un’alta qualità dei servizi educativi che parta della definizione di un progetto pedagogico di qualità e scientificamente orientato, dal possesso dei titoli di studio appropriati da parte del personale che costituisce l’équipe educativa coordinata da un esperto dei processi educativi, un Pedagogista appunto e non da un sanitario/controllore, e dalla costante valutazione educativa che richiami ciascuno alla propria responsabilità e al proprio ruolo in collaborazione con la famiglia.
Altra importante questione, assolutamente non considerata in questo frettoloso PDL é la responsabilità relativa al controllo e alla verifica dei requisiti, che ricordiamoci è in mano agli Enti Locali (legge 328/2000) che ha dato mandato ai Comuni del controllo della qualità dei servizi resi alla popolazione, in quanto ente pubblico, vicino ai problemi della gente, non solo per gli aspetti strutturali (sui quali interviene anche l’ASL), ma anche su quelli relativi all’organizzazione e al personale. Ad una logica della sorveglianza e del controllo basata sul pregiudizio, riteniamo che sia indispensabile sostituire la pratica della progettazione pedagogica, che chiama in causa tutti i protagonisti dell’agire educativo.

Ricorrere alla videosorveglianza corrisponde ad ammettere la totale disfatta delle politiche socioeducative, significa spezzare definitivamente quel patto educativo tra scuola e famiglia che dovrebbe costituire il cardine su cui si fonda l’intenzionalità della “Comunità che Educa”, e che dovrebbe essere incentrato sulla piena e reciproca fiducia tra insegnanti, personale educativo e genitori.

Associazione dei Pedagogisti e degli Educatori Italiani
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