I lettori ci scrivono

Tempo pieno al Sud, i docenti bloccati al Nord che fine faranno?

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai suoi Ministri.

Mi chiamo Maria Francesca Deplano, sono una maestra di scuola Primaria. Questo può voler dire tante cose o nessuna. Se lo si intende semplicemente come indossare l’abito del dipendente statale, allora non significa nulla.

Io sono maestra perché credo nell’insegnamento e in tutte le accezioni che il termine comporta: in quelle romantiche, che mi fanno pensare all’unicità e irripetibilità del  rapporto educativo con ogni singolo bambino, e in quelle più tecniche, che mi  impongono  saperi e competenze specifiche, infatti è lontano il periodo in cui si chiedeva ai maestri di insegnare semplicemente  a “leggere, scrivere e fare di conto”.

L’identità e lo sviluppo della nostra professione, oggi, sono strettamente legate alle trasformazioni generali della società, oltreché a quelle specificatamente di natura scolastica.
I profondi mutamenti nella cultura, nei saperi e nei mezzi con i quali vengono trasmessi  impongono a noi insegnanti nuovi compiti e nuove responsabilità. Le Istituzioni ci chiedono di essere professionisti dell’educazione, nulla deve essere lasciato al caso e le nostre capacità vanno sviluppate in relazione ad almeno quattro aree:

  • l’area delle competenze disciplinari e didattico-disciplinari, che nell’epoca della società conoscitiva devono essere assicurate a livelli elevati, indipendentemente dal segmento scolastico specifico nel quale l’insegnante presta la sua opera;
  • l’area delle competenze metodologiche, che devono rappresentare il patrimonio professionale comune a tutti i docenti, sia per gli elevati standard di progettualità didattica ed organizzativa che sono chiamati ad esercitare, per poter garantire un’offerta formativa che aderisca in maniera puntuale e flessibile ai bisogni formativi del singolo alunno, sia per lo stile collegiale e partecipato che deve caratterizzare la progettualità stessa;
  • l’area delle competenze relazionali e di comunicazione, che, nel quadro di una scuola che si avvia a diventare sempre più multietnica e multiculturale, si pongono come ineludibili per garantire una gestione pedagogica delle dinamiche sociali secondo modalità che favoriscano apertura e coesione umana e civile;
  • l’area della cultura e della consapevolezza organizzativa, che comportano, una profonda conoscenza delle problematiche sociali e culturali attuali ed una capacità di organizzare le risorse a disposizione, siano esse tempi, spazi o materiali.

Queste competenze, anche noi insegnanti, le consideriamo imprescindibili strumenti per il corretto svolgimento della nostra funzione, ma dal nostro punto di vista non bastano.

Per essere buoni insegnanti occorre di più. Occorre prima di ogni altra cosa svolgere un ruolo socialmente apprezzato e che dia dignità alle persone che lo svolgono. È proprio questa dignità che chiediamo nelle nostre rivendicazioni.

La nostra dignità è stata ancora una volta mortificata dall’annuncio compiaciuto di 2000 posti in più al sud. Mortificata perché ancora una volta solo il 30% di quei posti saranno destinati alla mobilità.

In virtù di questo noi continueremo a rimanere lontani dalle nostre famiglie in sfregio alla promessa di un piano di rientro. Si sostiene che concedere la mobilità agli insegnanti si tradurrebbe in un danno per la continuità didattica. Una continuità che per anni è stata sottratta ad insegnanti, alunni e genitori a causa dei contratti a tempo determinato, dei quali il Ministero si è avvalso abbondantemente fino a quando una sentenza della Corte Europea ne ha ridimensionato l’utilizzo (solo ridimensionato, perché i contratti a tempo determinato continuano ad essere utilizzati abbondantemente).

Per tanti anni si è sacrificata la continuità didattica sull’altare del risparmio, i posti in organico di fatto sono infatti retribuiti solo fino al mese di giugno. Noi riteniamo che ora, farsi scudo della continuità didattica per non voler concedere la mobilità per un rientro nelle proprie provincie, sia solo un modo per continuare a cercare la pagliuzza e non accorgersi della trave. Infatti Voi giustificate questa posizione sostenendo che al sud mancano i bambini. Invece, noi riteniamo che i bambini al sud ci sono e lo dimostrano le centinaia di nuove assunzioni fatte dopo il 2015. Ciò che manca realmente sono gli insegnanti al nord.
Pensiamoci bene, se vivessimo in Lombardia, in Piemonte o nel Veneto, e fossimo diciottenni appena diplomati, perché dovremmo affrontare uno studio universitario della durata di cinque anni per poi svolgere un lavoro remunerato con uno stipendio di 1300 euro, quando potremmo andare a lavorare in fabbrica ottenendo una remunerazione dello stesso importo o anche più alta, considerando che in fabbrica gli straordinari vengono retribuiti e a scuola no? Voi, a queste condizioni, vorreste fare gli insegnanti al nord? Che valore viene dato alla nostra attività?

Per far fronte a questa penuria di insegnanti nel 2015 si è proceduto ad un piano straordinario di assunzione. Ci hanno assunti sulla base di un algoritmo del quale è stato abbondantemente scritto e sulla correttezza del quale anche il Ministero ha confermato la fallosità. A causa di una simile stortura chi ha maggiormente investito sulla sua professione è stato ancora una volta umiliato. Caspita, ci hanno dato un posto fisso e ci sentiamo umiliati? Sì, umiliati nella parte fondante del nostro essere insegnanti: la motivazione. L’insegnante motivato è quello che investe nel proprio lavoro, investe in tempo, relazione, studio, ricerca, progettazione, valutazione, aggiornamento, in critica e autocritica. Occorre però che ai propri investimenti segua un guadagno, costituito dal riconoscimento del proprio ruolo e della propria attività. Solo in questo modo l’insegnante continuerà ad essere motivato e a reinvestire il suo guadagno nella ricerca di una sempre maggiore preparazione.

Con il piano di assunzioni chi ha investito maggiormente sulla sua professione è stato penalizzato. Infatti gli insegnanti con maggiori titoli (concorsi, laurea, master, specializzazione sulle didattiche aggiuntive) e con maggiore esperienza (decenni di incarichi sul campo) sono stati dirottati al nord, lontani dalle loro famiglie e colpevoli di aver investito in studio, ricerca e aggiornamento; mentre chi non ha fatto nulla per migliorare la sue competenze (concorso, solo diploma magistrale o solo laurea) è stato premiato con cattedre vicino casa. Che senso ha tutto questo? Che valore viene dato al merito? Lei ha riconosciuto la stortura di questo sistema e ha promesso di porvi rimedio con un piano straordinario di rientro.

Ma la soluzione da Voi scelta rischia ancora una volta di dare un duro colpo alla nostra motivazione. Questo comporterà che la motivazione di molti insegnanti sarà sostituita dal malessere, inteso come disagio di natura individuale, e dal  senso di frustrazione dovuto al peso del disconoscimento dei propri sforzi.

Noi chiediamo il riconoscimento dei nostri meriti, chiediamo un piano di rientro serio, ma soprattutto chiediamo rispetto per la nostra dignità.

 

Maria Francesca Deplano

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