Ha fatto discutere la dichiarazione del premier Giuseppe Conte di qualche giorno fa sull’impegno del governo a realizzare “una riforma per garantire il tempo pieno su tutto il territorio nazionale che possa dare effettiva possibilità alle famiglie – e soprattutto alle donne – di inserirsi nel mercato del lavoro”: un’idea non certo originale che sinora non era mai andata in porto, avevamo commentato, per una serie di difficoltà non indifferenti. A quantificarne l’entità, da un punto di vista economico e delle risorse umane, è stata Tuttoscuola, la quale ha calcolato per l’attivazione del tempo piano alla primaria su tutto il territorio nazionale un impegno finanziario di 2,8 miliardi di euro l’anno, con 50 mila nuovi posti di lavoro. Oltre a un miliardo di euro di investimento iniziale per approntare i locali di mensa e laboratori. Si tratta di fondi ingenti, quindi, che potrebbero essere investiti solo estrapolandoli dal Recovery fund: il governo italiano non sarebbe di certo in grado, ancora più in questo momento, di sostenere un impegno finanziario così probante.
Ecco perché, ha osservato la rivista, sino ad oggi l’incremento del tempo a scuola prolungato fino all’incirca alle ore 16 è stato mediamente di un punto percentuale all’anno.
Gli incrementi di adesioni
Nel 2008-09 le regioni del Sud registravano il 9,8% di classi organizzate a tempo pieno; nel 2019-20 la percentuale è stata del 20%. Ed è quindi sempre al Meridione che i numeri crescono: mentre dal 2018-19 al 2019-20 il numero complessivo di alunni è diminuito di oltre 53 mila unità, quelli iscritti al tempo pieno sono invece aumentati di oltre 16 mila unità.
Scorrendo i dati numerici ufficiali dello scorso anno scolastico, pubblicati dal ministero dell’Istruzione, ad essere iscritti ai corsi di tempo pieno nella scuola primaria sono 923.196 alunni, il 37,8% dei 2.443.889 iscritti.
Conseguentemente non frequenta il tempo pieno il 62,2% di alunni, cioè 1.520.693 di ragazzi: praticamente due alunni su tre fra i sei e gli undici anni.
Quanti docenti servono?
Tuttoscuola ha anche pubblicato i posti comuni di docente nella scuola primaria: complessivamente sono 193.265 di cui il 45,5% impiegato in classi a tempo pieno (87.731).
E per assicurare il tempo pieno in tutte le attuali 128.148 classi occorre che, oltre alle 46.403 (36,2%) già funzionanti a tempo pieno, anche le restanti 81.745 vengano riorganizzate “full time”.
Per questa riorganizzazione occorre incrementare l’organico docenti – attualmente di 193.265 posti di cui 87.731 (45,4%) su classi a tempo pieno – aggiungendo 49.015 nuovi posti ai 105.534 attualmente impegnati su classi funzionanti a tempo normale (27-30 ore settimanali). Quei 49mila posti necessari per generalizzare il tempo pieno dovrebbero essere assicurati al 50% dalle graduatorie di merito dei concorsi e per l’altra metà dalle Graduatorie ad esaurimento.
Impegno importante, ma per chi?
L’impegno preso dal premier Giuseppe Conte sul tempo pieno per tutti, quindi, è davvero proibitivo. Ancora di più perchè c’è un punto non considerato, sul quale La Tecnica della Scuola insiste da tempo: quello della richiesta delle famiglie di tale servizio in determinate zone, soprattutto al Sud.
Sono gli stessi territori, dalla Campania in giù, dove il tasso di occupazione delle donne è più basso: non a caso, il governo vorrebbe portare il tempo pieno, proprio per creare opportunità. Ma senza avere certezza delle richieste.
Perchè quanto accaduto all’iniziativa legislativa del M5S del 2018, che ha prodotto 2 mila posti creati in più alla primaria proprio per questo scopo senza però che siano state formulate domande alle scuole, è stata un segnale (negativo) importante.
Il rischio, dunque, è che se si non dovesse agire anche sul piano culturale, oltre che su quello degli organici e delle strutture scolastiche, arriveremo a produrre delle ore di scuole in più, ma con un numero non indifferente di famiglie che continueranno a chiedere di fare uscire i figli da scuola all’ora di pranzo.