Secondo uno studio fatto da Tuttoscuola, sulla base dei dati pubblicati dal Ministero, il tempo pieno nella scuola per tutti gli studenti costerebbe oltre 12 miliardi di euro.
Che non sarebbero soldi buttati, anzi. Sarebbero un investimento proficuo e volano di ulteriore sviluppo, soprattutto al sud Italia.
Infatti, mentre nelle regioni del Centro nord il 49,7% delle classi è attualmente organizzato a tempo pieno, nel Meridione si raggiunge solo il 20% e in Sicilia siamo attorno al 10%.
Un altro dei tanti paradossi meridionalisti che toglie posti di lavoro per docenti e personale Ata e opportunità di sviluppo laddove proprio c’è più bisogno.
Se allora si estendessero a tutte le classi italiane delle primarie e delle secondarie di primo grado le 40 ore settimanali di funzionamento, ciò comporterebbe l’assunzione di nuovi docenti e personale, la creazione di nuove strutture, l’implementazione di nuovi servizi all’interno delle scuole. E renderebbe un servizio importante alle famiglie.
Infatti, come riporta Tuttoscuola e come del resto l’evidenza declama, il tempo pieno investe almeno tre livelli di spesa: il costo del personale docente e Ata, che rimane a carico dello Stato; i costi per i servizi di mensa e di trasporto, di cui si occupano i Comuni; i costi per nuove strutture o trasformazione di locali, sempre a carico dei Comuni, essendo quelle scuole di loro pertinenza.
Ora, per adeguare le strutture scolastiche ad ospitare le mense ci sarebbero i fondi del Pnrr e anche per implementare i servizi di scuolabus, ma non pare che i comuni siciliani siano in grado di ottenerli, tant’è che i progetti presentati da molti comuni siciliani non sono stati approvati, mentre altri Enti locali non sono neanche riusciti a presentarli, per via di una burocrazia inefficiente e impreparata, al contrario di quanto accade, per esempio, presso le Regioni del Nord come l’Emilia Romagna.
Il risultato? Prof meridionali costretti ad emigrare, scuole cadenti, aziende di trasporto e di mesa obbligate a chiudere.
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