Aumentano i posti: per l’anno accademico 2019/2020 saranno 11.568, quasi 2mila in più rispetto a dodici mesi fa. Di conseguenza anche gli studenti che ci proveranno: 69mila rispetto ai 67mila dello scorso anno.
Che per iscriversi al test d’ingresso per le facoltà di Medicina e Odontoiatria hanno dovuto sborsare una tassa di iscrizione media pari a 49,06€.
Questa la cifra rilevata dal portale Skuola.net, che ha analizzato le richieste delle singole università (statali) in cui si svolgerà la selezione.
Una cifra in linea con lo scorso anno e in base alla quale si stima che l’incasso al botteghino raccolto dai quiz si aggirerà intorno ai 3.3 milioni di euro. Ma qualche ateneo potrebbe ricavare più di altri. E non perché sia più gettonato – la tassa infatti si paga nella sede in cima alla lista delle preferenze dei candidati – ma perché l’esborso economico richiesto agli studenti è più alto.
È sempre il solito problema. Siamo di fronte a un test nazionale che si svolge in contemporanea in tutta Italia in università statali, con la stessa struttura e le stesse modalità di svolgimento: data (sarà martedì 3 settembre), domande, correzione centralizzata e graduatoria unica. Ma ogni ateneo può decidere in autonomia quanto far pagare alle aspiranti matricole per sostenere i quiz. Generando disparità di trattamento, anche forti, tra studenti. Si parte, infatti, dalla quota simbolica fissata dall’università “Bicocca” di Milano (con appena 10 euro è sempre lei la più virtuosa di tutte) ma si può arrivare fino ai 100 euro chiesti sia dall’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” sia dall’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” (che richiedono la cifra massima tra gli atenei esaminati).
A onor del vero ci sono atenei che richiedono cifre superiori ai 100 euro, ma si tratta di realtà private dove il test di svolge in date diverse e che si sobbarcano anche i costi di redazione e correzione dei test.
Tra le altre università dove il test costa di più, da segnalare Ferrara che ha portato la tassa d’iscrizione a ben 80 euro (l’anno scorso ne chiedeva 60).
Prendendo il posto di Messina, che dai 90 euro del 2018/2019 ha riportato la tassa a ridosso della media nazionale (qui ci volevano 50 euro per candidarsi al test, come nella maggior parte degli atenei statali). Per fortuna, però, sono molti di più gli esempi positivi, la Bicocca è in buona compagnia. C’è l’università dell’Insubria (Varese) che da anni chiede solo 20 euro; curioso il caso di Cagliari, dove la tassa cresce costantemente ma di pochi centesimi per volta (ora è 23,05€); Catania, Padova, Roma Tor Vergata, Trieste e Sassari, invece, si accontentano di 30 euro.
Ma il salasso per le famiglie non si esaurisce con l’iscrizione ai quiz. Il test d’ingresso a Medicina da sempre dà pochissime chance di successo (stavolta entrerà circa 1 aspirante matricola su 6). Per questo in tanti si rivolgono a libri, simulazioni e corsi di preparazione ad hoc.
Secondo un sondaggio effettuato sempre da Skuola.net su 500 ragazzi che sosterranno la prova il 3 settembre, più di 1 su 4 (il 28%) ha speso oltre 500 euro per aumentare le probabilità d’accesso (i corsi privati possono costare anche 2mila euro), l’11% tra 300 e 500 euro, un altro 28% tra 100 e 300 euro, solo 1 su 3 ha limitato l’esborso sotto i 100 euro. Una soluzione, però, quest’anno era dietro l’angolo. Il ministero dell’Istruzione, al momento di emanare le regole per i test 2019/2020, aveva invitato le università ad organizzare corsi di preparazione annunciando anche uno specifico stanziamento di fondi.
Stando ai racconti degli studenti interpellati da Skuola.net, però, non tutti i candidati hanno potuto usufruire di questo servizio: 1 su 4 è sicuro che nell’ateneo in cui tenterà il test non sono stati previsti corsi di preparazione. Ma, anche laddove le università hanno allestito delle sessioni di preparazione ai quiz, l’accoglienza è stata tiepida: meno della metà (47%) vi ha partecipato. Due i motivi: da un lato il fatto che quasi tutti i corsi erano a numero chiuso, dall’altro la non gratuità delle lezioni. Solo il 50% dei partecipanti dice che non ha dovuto pagare nulla, il 19% meno di 100 euro, il 25% tra 100 e 200 euro, il 6% più di 200 euro. Esagerazione o realtà?
Basta farsi un giro sui siti delle università per scoprire che i ragazzi sembrano offrire un quadro realistico. Gran parte degli atenei – come Milano, Padova, Parma – hanno effettivamente offerto corsi frontali gratuiti. Altre, però, hanno previsto il pagamento di una somma più o meno ingente: a Salerno, ad esempio, la richiesta era di 200 euro per 120 ore di lezione; alla Federico II di Napoli di 130 euro per 100 ore di lezione; a Siena 79 ore di corso erano quotate 400 euro. Meno comunque di quanto avvenuto nella piemontese “Avogadro”, dove per 76 ore di lezione l’esborso ha toccato la cifra di 900 euro. Non abbiamo modo di sapere se le università ci abbiamo guadagnato o rimesso, ma di certo anche qui non è semplice spiegare allo studente medio la differenza di trattamento.
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