Riuscire ad avere abbastanza soldi, comperare ciò che si vuole, trovare un buon lavoro, fare ciò che si desidera: «Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi?». Appare eccessiva, per il livello e il contenuto, la domanda posta quest’anno dall’Invalsi agli alunni della quinta primaria. Una copia (nella foto) sta spopolando sul web. E i commenti non sono teneri.
Del tema si è occupato anche il giornalista Massimo Gramellini nel suo “Caffè” settimanale, sul Corriere della Sera, nel quale giudica la decisione di porre certi tipi di quesiti, predisposti dagli esperti dell’Istituto di valutazione nazionale, la conferma che nella scuola “sta passando il principio che la scuola serva soltanto a trovare un lavoro e non anche se stessi”. Il concetto, come scritto nel titolo dell’articolo di Gramellini, del “bambino azienda”, sarebbe ormai condizionato anche dagli esperti Invalsi dal “Pensiero Unico Materialista”.
Certo, prosegue il giornalista, nella vita “il lavoro e i soldi sono importanti, specie se non li hai. Ma dalla scuola mi aspetto che insegni anche altro. Che mi dia gli strumenti culturali per vivere meglio, per cogliere la bellezza in un’opera d’arte, per ammirare un tramonto e non solo una vetrina. Che, almeno alle elementari, mi spinga a fantasticare e a cercare dentro di me il talento unico e irripetibile che sicuramente posseggo, come tutti. Che non faccia di me solo un consumatore compulsivo e uno sbarratore di crocette nei questionari, ma un essere umano completo, capace di abitare la vita nella sua interezza”.
Per un commento sulle stilettate di Gramellini, abbiamo sentito Anna Angelucci, docente di Italiano e Latino al liceo Pasteur di Roma e presidente del Comitato nazionale Per la Scuola della Repubblica. La quale apprezza la dura presa di posizione del giornalista.
“Finalmente molti altri, oltre noi, si stanno accorgendo della torsione mostruosa che Miur e Invalsi hanno imposto alla scuola, facendosi interpreti del pensiero unico economicista, dello spietato ‘realismo capitalista’ che permea il nostro tempo”, ci dice la docente.
Angelucci cita “ministri, burocrati, accademici di varie discipline: tutti proni all’ideologia liberista di una scuola delle competenze da spendere nel mercato del lavoro. Lo studente viene considerato come homo, anzi puer oeconomicus. Il linguaggio e i paradigmi che supportano la ‘teoria’ delle competenze sono identici a quelli che declinano la gestione delle risorse umane del ‘quality totally management’ del modello Toyota. Il lavoratore, come lo studente, flessibile, intercambiabile, addestrato al problem solving just in time, asservito e reificato dalle richieste del mercato”.
L’insegnante romana si scaglia, quindi, sui vari “ministri, burocrati, accademici di varie discipline che hanno contribuito a trasformare la scuola italiana in un centro di addestramento al lavoro del terzo millennio, precario, dequalificato e non pagato, in cui sia introiettato fin dalle elementari il modello ‘produci, consuma, crepa’, senza altri grilli per la testa, senza altri sogni che non siano quelli di far soldi. Ma nemmeno senza le emozioni della letteratura e dell’arte, senza le riflessioni della filosofia, senza la conoscenza del passato, senza più la possibilità di immaginare che la vita e il tempo possano essere qualcosa di diverso”.
“Incommensurabilmente diverso e più grande delle piccole menti di chi pretende solo oggettività e misura. C’è solo una parola: Vergogna”, conclude la professoressa di Italiano e Latino.
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