Trenta mesi fa ci lasciava il professor Giorgio Israel: docente dell’Università di Roma La Sapienza, dove insegnava Matematiche Complementari presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, era anche Membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences. Israel ha pubblicato trenta volumi e più di duecento articoli scientifici.
Ha approfondito il tema attualissimo del ruolo della scienza nella storia della cultura europea, e studiato in modo critico il meccanicismo e la razionalità matematica. Ed era anche tra i più convinti critici dell’Invalsi.
Israel non era solo uno scienziato, ma anche storico della scienza e della matematica: uno studioso di fama mondiale, che lavorò, tra l’altro, nella Commissione MIUR per la riforma dell’insegnamento della matematica ai tempi del ministro Fioroni (2007); fu membro della Commissione per le nuove Indicazioni nazionali per i Licei e presidente del Gruppo di lavoro per la formazione degli insegnanti sotto la ministra Gelmini (dal 2008 al 2009); fece parte del Comitato di selezione del presidente dell’Invalsi quando era ministra Maria Chiara Carrozza (nel 2013).
Non era, insomma, un feroce sindacalista dei crudeli e spietati sindacati di base, né un agitatore di piazza. Era uno scienziato onesto. Che avversava fortemente la progressiva “invalsizzazione” coatta della Scuola italiana.
Ebbene, secondo Giorgio Israel i test a risposta chiusa (quelli a crocette) «non consentono di capire se la casella giusta è stata contrassegnata a caso oppure a seguito di un ragionamento corretto».
Il test, pertanto, deve essere «rigorosamente confinato alla verifica della presenza di capacità minime – di calcolo, grammaticali, sintattiche, ortografiche – che può essere affidata a quiz a risposta chiusa. Ma non appena si pretende di andar oltre, l’“oggettività” svanisce come fumo al vento. Come può verificarsi la capacità argomentativa di un alunno di fronte a un problema matematico? A meno che non sia estremamente banale e meccanico, anche il più semplice problema matematico si presta a una grande molteplicità di soluzioni».
Inoltre «il rischio maggiore è legato all’introduzione di quel che viene chiamato il ‘teaching to the test’, ovvero la sostituzione dell’insegnamento ordinario con un’attività di addestramento al superamento dei test».
«L’andazzo cui si sta assistendo» sosteneva Israel «configura una tendenza verso il degrado dell’insegnamento e della figura dell’insegnante, sempre più destinata a trasformarsi nella figura del ‘facilitatore’, passacarte di valutazioni e di metodologie didattiche confezionate da “esperti” sulla cui mai valutata competenza è meglio stendere un velo pietoso. Altro che rivalutazione meritocratica della funzione dell’insegnante!
Qui rischiano di essere premiati coloro che si mostreranno proni a questo andazzo. Come stupirsi allora se, ancora una volta, ci troveremo di fronte alla bieca alternativa tra un ulteriore degrado della scuola italiana o un ennesimo fallimento del tentativo di introdurre serie modalità di valutazione? O a entrambi gli esiti?». E aggiunge ancora, con autentico sarcasmo: «Riempirsi la bocca delle parole “oggettivo” e “misura” dà un tono molto scientifico ma non è una cosa seria. L’autentica valutazione è qualcosa di infinitamente più complesso della misurazione della superficie di un appartamento.
Essa coinvolge una gran quantità di aspetti qualitativi, spesso non quantificabili ma che possono essere analizzati e giudicati seriamente senza numeri, e tra i quali ha un posto centrale il contenuto della disciplina in oggetto. La valutazione ha senso soltanto se è concepita come un processo interattivo volto a produrre una crescita culturale. Ma se è gestita da “esperti” incompetenti a entrare nel merito si traduce in un autentico disastro».
Parole chiare, inequivocabili. Come quelle, sempre del Professor Israel, sulla scuola-azienda: «È banalmente sbagliata l’idea che la Scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e che studenti e famiglie siano l’utenza». Quello della scuola-azienda, vogliamo ricordarlo, è un ossimoro già particolarmente caro agli inventori dell’autonomia scolastica, ai tempi di quel CEDE (Centro Europeo Dell’Educazione) il cui presidente Benedetto Vertecchi ideò i quiz del “concorsone” mediante il quale il Ministro Luigi Berlinguer avrebbe voluto classificare gli Insegnanti nel 2000. Il concorsone fu bocciato dai Docenti all’unanimità, e Berlinguer dovette dimettersi. Eppure l’ossimoro “scuola-azienda” è rimasto un cavallo di battaglia per il neoliberismo e per le sue liturgie.
Lo confermano le parole del Professor Mario Monti, pronunciate il 17 novembre 2011 al Senato, all’inizio della sua avventura di governo: «Un ritorno credibile a più alti tassi di crescita deve basarsi su misure volte a innalzare il capitale umano e fisico e la produttività dei fattori. La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all’accrescimento dei livelli d’istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall’INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti».
Risponde Giorgio Israel quattro giorni dopo: «Per una scuola che sta perdendo l’anima – declinando sempre più verso lo stato di carrozzone tormentato dal dirigismo burocratico in cui le ultime preoccupazioni sono la cultura, i contenuti, la dignità dell’insegnante e la formazione di soggetti consapevoli e motivati – non si trova di meglio che parlare di “test”, nella cornice di un linguaggio economicista, a base di “capitale umano”, “forza lavoro”, “fabbisogni” e “aree in ritardo”? Invece di capire che quello di cui ha bisogno l’istruzione è soprattutto di motivazioni profonde e di restituzione del “senso” della propria missione? Davvero malinconico» (Giorgio Israel, Il Giornale, 21 novembre 2011).
Israel è soltanto uno dei tantissimi intellettuali che si sono espressi (persino nei Paesi anglosassoni, che della didattica a quiz erano un tempo i maggiori fan), contro l’idolatria del test. Eppure il carro armato dell’invalsizzazione forzata da noi procede a pieno regime, nel silenzio totale dei sindacati di Stato “maggiormente rappresentativi”.