I docenti che si rifiutano di compilare i test Invalsi di valutazione degli alunni, della scuola primaria e secondaria di primo grado, introdotti dalla Riforma Moratti, non commettono un reato di tipo penale. A stabilirlo è stato Procuratore aggiunto di Bologna Luigi Persico che l’11 marzo ha archiviato l’accertamento avviato sul caso delle scuole Rodari-Jussi di San Lazzaro di Savena (Bologna). Secondo la Procura, qualora ve ne fossero i presupposti si possono condurre “solo provvedimenti di tipo disciplinare”.
La sentenza è stata emessa a seguito della segnalazione dalla dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, Lucrezia Stellacci, la quale aveva sostenuto che l’obiezione di coscienza contro i test Invalsi “può essere considerata come interruzione di pubblico servizio”: secondo la dottoressa Stellacci un comportamento che osteggia alla valutazione delle qualità degli studenti e del sistema scolastico potrebbe considerarsi come “un tentativo di opporsi a una legge dello Stato” con conseguenze “anche penali”.
Ora però la sentenza ridimensiona il rifiuto relegandolo non ad un reato, ma solo ad comportamento stigmatizzabile sotto forma di provvedimento disciplinare.
Ora però la sentenza ridimensiona il rifiuto relegandolo non ad un reato, ma solo ad comportamento stigmatizzabile sotto forma di provvedimento disciplinare.
I test Invalsi di valutazione sono stati introdotti in forma obbligatoria sul finire dello scorso anno scolastico, dopo che per tre anni erano stati somministrati in via facoltativa e sperimentale: con l’approvazione di un decreto di istituzione ad hoc, specifico per le prove valutative, approvato nell’ottobre 2004, i direttori scolastici e i dirigenti sono stati obbligati a far svolgere i test in seconda, quarta elementare e in prima media; facoltativa, invece, la somministrazione alle superiori. Il Ministero dell’Istruzione, dal canto suo, ha definito i test delle modalità scientifiche, attraverso cui stabilire i livelli di apprendimento degli studenti e le metodologie utilizzate dai docenti. Parte del mondo della scuola (compresi diversi genitori) si è invece opposta sin da subito alla loro introduzione perché interpretata come una valutazione delle scuole e dei docenti finalizzata ad una suddivisione meritocratica dei fondi incentivanti.
Lo stesso sindacato Flc-Cgil, anche se non apertamente contrario alla valutazione, durante il 2004/0205 ha chiesto più volte garanzie al ministro Moratti “su come si colloca il sistema Invalsi, di cui non si conosce il fine e l’uso”. Ai docenti che si sono opposti alla loro applicazione, il Ministero dell’Istruzione ha ribattuto definendo “pretestuosa e priva di ogni fondamento le notizie su un oscuro disegno che intenderebbe valutare, attraverso i test distribuiti agli alunni, i rispettivi docenti oppure le scuole, istituendo gerarchie e graduatorie”. Da viale Trastevere sono giunte rassicurazioni anche a proposito della riservatezza dei dati, poiché “le procedure adottate – hanno ribadito i dirigenti del Miur – garantiscono l’assoluto anonimato”.