Sindacati di base, associazioni degli studenti, insegnanti ed anche genitori: si allarga, giorno dopo giorno, il fronte dei no ai test Invalsi, che nelle intenzioni del Miur dovrebbero avvicinare la scuola italiana a quella internazionale, iniziati il 10 maggio con la novità delle seconde classi delle scuole superiori, ripresi il 12, con le prime classi delle medie, e che si chiuderanno venerdì 13 maggio con le seconde e quinte della primaria.
Per i Cobas, che hanno boicottato in tutti i modi le prove standardizzate, almeno il 20% degli insegnanti non avrebbe collaborato allo svolgimento dei test. “A tanti docenti – hanno spiegato i Cobas – è stato impedito fisicamente di entrare nelle proprie classi (come alla nostra responsabile di Trieste, Daniela Antoni, il cui preside si è piazzato sulla porta impedendole l’accesso e provocandole un collasso); altri sono stati incredibilmente sostituiti da bidelli ed addetti di segreteria come in alcune scuole di Torino”. Su internet sono apparsi, inoltre, diversi interventi di genitori indignati per il metodo unilaterale, privo di riscontri collegiali scolastici, con cui sono state imposte le verifiche: per i figli niente prove.
Per il Miur si tratta, però, di casi marginali e di dati privi di riscontro; tanto che nel primo giorno di somministrazione dei test, alle superiori, “su un campione di 2.300 classi – ha comunicato il Ministero di viale Trastevere – solo 3 non hanno svolto il test Invalsi” e “quindi la percentuale di classi che non hanno eseguito il test è pari allo 0,13%”.
I malumori però ci sono, eccome. “Le prove Invalsi – ha detto Jacopo Lanza, tra i responsabili nazionali dell’Unione degli studenti– sono motivate da un preciso progetto politico che mira ad indebolire la libertà di insegnamento. Il primo effetto disastroso di questo test è già visibile: la corsa al ‘premio’ fra scuole ha scatenato reazioni antidemocratiche, repressive e talvolta letteralmente illegali dei dirigenti scolastici”.
Secondo Lanza, inoltre, “i collegi docenti non sempre hanno avuto la possibilità di esprimersi e gli studenti sono stati schiacciati dall’opacità di norme non chiare (il ministero non ha la facoltà di imporre direttamente il test)”, per colpa di “dirigenti che spesso dimenticano che il rispetto per l’altro è un dovere che nella scuola si basa sulla reciprocità e non sull’autorità”.
Il rappresentante Uds si sofferma su quanto sarebbe accaduto nel Liceo artistico – istituto d’Arte Roma 2 di Roma, una delle città dove c’è più fermento per la somministrazione delle prove, dove “più di quaranta studenti hanno lasciato il test Invalsi in bianco. La protesta – ha detto Lanza – è stata spontanea ed è partita nel momento in cui gli alunni si sono accorti che il quiz non era anonimo, come era stato loro detto, ma veniva ricondotto a un identificativo; inoltre venivano richieste informazioni personali sulle quali i ragazzi, tutti minorenni, non si sarebbero potuti esprimere trattandosi di dati coperti da privacy”.
Il rappresentante Uds ha quindi riferito che la Preside della scuola superiore romana si sarebbe anche “rifiutata più volte nella giornata di ascoltare le domande di chiarimento e confronto dei ragazzi e ha sospeso decine di studenti da un giorno all’altro per tre giorni. Quanto accaduto – commenta Lanza – è di una gravità sconcertante in quanto viola l’art. 4 comma 6 della legge 249/1998, poiché la sanzione disciplinare sarebbe dovuta partire dal Consiglio di Classe e non dalla presidenza”.
Intanto la vigilia della manifestazione dello sciopero per l’intera giornata dell’Unicobas del 13 maggio è stata contrassegnata dalle polemiche: la questura romana ha comunicato al sindacato che per evitare ripercussioni al traffico cittadino la mobilitazione del personale scolastico si dovrà svolgere non su viale Trastevere, come richiesto dal sindacato da febbraio, ma in largo Bernardino da Feltre, sul lato opposto della strada. Per Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas, si tratta di “un sito ben poco visibile” e si trascura che da decenni gli organizzatori delle manifestazioni stipulano con le forze dell’ordine un “impegno scritto a rimanere su scalini e marciapiedi, non ostacolando il traffico”. Secondo il sindacalista sarà proprio la scelta di spostare la manifestazione a mettere “a rischio l’ordine pubblico, dal momento che non è concepibile che a fronte di una richiesta prodotta il 22 febbraio” si ponga “il divieto solo il giorno prima della manifestazione, mettendo a rischio l’incolumità dei tanti cittadini e lavoratori che manifesteranno rispondendo ad una chiamata di piazza affissa da giorni nelle strade di Roma con appuntamento sotto il ministero”. Il leader dell’Unicobas annuncia, quindi, che i manifestanti “costi quel che costi, manifesteranno ugualmente sotto il Miur”.