Sul ritorno nelle scuole, mentre il Governo si rende tardivamente conto del nodo dei trasporti per raggiungerle (sembra anche con tanto di “strigliata” alla ministra Lucia Azzolina da parte del premier Giuseppe Conte), i docenti si stanno chiedendo come procedere per rientrare con maggiore sicurezza possibile. In tanti stanno contattando, ad esempio, i loro medici di base e nella maggior parte dei casi hanno ricevuto un più o meno gentile diniego, confermando la linea di diversi sindacati dei medici di famiglia che hanno detto di non garantire le condizioni di sicurezza, di non essere in possesso dei kit per somministrarli oppure di essere contrari a svolgere l’esame nel proprio studio. Gli insegnanti vengono quindi dirottati presso le proprie Asl di competenza, dove i tempi di risposta e di attesa possono essere più lunghi. Soprattutto se, come si prevede, nei prossimi giorni aumenteranno le richieste.
“A chi non li fa non manderei i carabinieri”
Dagli infettivologi, intanto, si continua ad asserire che manca l’obbligo ma la somministrazione dei test sierologici è vivamente consigliata. Massimo Galli, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, durante la trasmissione Agorà Estate su Rai3 del 25 agosto, ha detto che “per il momento non siamo in una situazione di estrema emergenza, tale da rendere il test obbligatorio. Non ritengo logico che una persona non si sottoponga oggi a un tipo di esame come questo ma, se non lo vuole fare, non manderei i carabinieri. Mi auguro che l’essere in posizione minoritaria aiuti a evitare l’eventuale contrarietà”.
La temperatura si misura a scuola
In generale, Massimo Galli si è detto preoccupato “il giusto” dal ritorno sui banchi, ma “la scuola è fondamentale, andare in presenza lo è altrettanto, cercare di portare avanti questo percorso è un tentativo che va fatto”. Per farlo però servono “meno banchi e più test” e soprattutto “un presidio sanitario nell’istituto scolastico”.
Infine, conferma che secondo lui “la misurazione della febbre va presa a scuola, non a casa dalle famiglie”.
Anche sui presidi medici, però, vi sono non poche difficoltà di attuazione: La Repubblica ha calcolata che “ogni medico dei dipartimenti di prevenzione delle Asl sarà il referente di ben 23 sedi scolastiche”.
Un presidio ogni cinque istituti autonomi
Di fatto, si potrà associare un presidio medico, in media, ogni cinque scuole autonome.
E che, quindi, “per far funzionare le linee guida sulla gestione di casi sospetti e focolai nelle scuole dei ministeri alla Salute e all’Istruzione, dell’Inail e dell’Istituto superiore di sanità c’è bisogno di rinforzare il sistema.
Ciò perché in tutta Italia vi sono solo “1.700 professionisti” medici dei dipartimenti, coloo che dovrebbero fungere da referente nel dipartimento di prevenzione, “mentre le sedi scolastiche sono 40mila, raggruppate in 8.290 istituti comprensivi”.
Il quotidiano romano spiega che “sono troppo pochi per potersi occupare approfonditamente delle singole scuole. Basta pensare che questi professionisti già lavorano all’organizzazione dei tamponi e al contact tracing e a breve potrebbero trovarsi con focolai in tre, quattro o anche più scuole tra quelle delle quali sono referenti.
Servirebbe altri mille camici bianchi nelle Asl
«Ci vorrebbero almeno altri mille medici al lavoro nei dipartimenti di prevenzione», dice Italo Angelillo, presidente della Siti.
Con il passare delle settimane, il problema non potrà che acuirsi. “In base al documento con le linee guida, all’interno delle scuole comunque avranno un nuovo ruolo anche i medici di famiglia e i pediatri. Si occuperanno di disporre i tamponi quando ci sono casi sospetti, segnalati dal referente interno alla scuola”.
Il ruolo dei medici di base: complicazioni in arrivo
“Quando arriverà il freddo e con questo le malattie respiratorie stagionali ci sarà il rischio di confondere altre patologie con il Covid, quindi la scelta se fare il test diventerà molto delicata. «È vero che i colleghi entreranno nella partita — dice sempre Angelillo — Ma una volta che arriva la diagnosi di nuovo caso spetterà a noi coordinare l’indagine epidemiologica per ricostruire i contatti dell’alunno e decidere di chiudere la classe e mettere tutti in quarantena».
Se c’è una circolazione del virus ampia nella zona dove si trova la scuola – conclude Repubblica – potrebbero essere prese decisioni più drastiche, che possono riguardare un maggior numero di studenti e operatori. «Quello è il nostro lavoro. Abbiamo bisogno di essere più numerosi per svolgerlo al meglio nelle scuole».