Guai a voi, anime prave ( gli insegnanti, praticamente!) ! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi all’altra riva, ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo: è il tono minatorio che accompagna la letteratura domestica di tante case d’Italia per ogni delitto di lesa maestà, perpetrato ai danni dei propri figli. Genitori in trappola, sotto scacco: vittime e carnefici, con l’indice puntato e il piede di guerra a spron battuto. Sfida educativa, la potremmo chiamare, la generazione 2.0, ancorata (ancóra, chiedendo venia per la paronomasia interna) al super-controllo della familia romana; Rapporto Scuola-Famiglia, nei fatti, poi, luogo di imbarazzo o duello da Far West. Genitori dalla presentazione pluriprofessionalizzata ( di tutto un po’, e meno di se stessi) con cui fa fatìca persino il canale fàtico della comunicazione: Counseling, sanità ed istruzione sembrano succedersi come targhe acquisite su ogni numero civico di abitazione. Ecco, succedersi, come scelta di verbo! Il buon senso di marcia nella sintassi dell’educazione alla convivenza. Il successo è la capacità di far accadere le cose: è il definiendum psicoanalitico con cui si esplicita la metodica in vista della formazione; il venir dopo, come fa intuire, nell’etimologia della parola, la voce lessicale successus di matrice latina. Senza l’esperienza del limite, non si va oltre: lo insegna persino la poesia, l’Infinito del Recanetese! E’ necessario il limite, perché l’erranza dia frutti: c’è sempre nel cammino di una vita, infatti, una caduta da cavallo, stile Luigia Pallavicini, un incontro con la pasta della terra, un faccia a faccia con lo spigolo duro del reale. Il fallimento, pertanto, non va demonizzato perché è di aiuto alla consapevolezza: è dubbio investigativo, possibilità di affermazione; il culto modernista del proprio sé è fuori posto, perché dogma malato di infallibilità. Un insegnamento a cui, per pregiudizio, ci si sottrae, autoaffermandosi a nome dei figli con censura illegittima delle istituzioni.
Prof. Francesco Polopoli
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