Tfa e concorsi, dal Miur tante precisazioni… imprecise

Le precisazioni del ministero dell’Istruzione sui Tfa sembrano aver prodotto l’effetto opposto: anziché fare chiarezza e sgomberare finalmente dubbi e incertezze su un percorso formativo ancora “acerbo” e ricco di punti oscuri, sembra aver alimentato ulteriori tensioni e contraddizioni. Ad iniziare dal versante che riguarda la soglia minima di accesso riservata ai docenti precari che verranno accolti nel “diverso percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il possesso della prescritta abilitazione”. Ma 36 mesi equivalgono 1.080 giorni. 
Allora perché fonti attendibili del Miur, ma anche ieri la stessa Uil Scuola, hanno indicato come soglia solo 540 giorni di servizio? E ancora, perché nella stessa nota di chiarimenti il Ministero tira in ballo, per giustificare la procedura formativa con il “doppio binario”,  il “D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, prevede il “riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea?”. 
Insomma, più di qualcosa non torna: chi opera nella scuola sa bene che 36 mesi, 1.080 giorni o tre anni di servizio possono rappresentare delle situazioni lavorative pregresse ben diverse. Valgono, ad esempio, solo i canonici 180 giorni di supplenza considerati come limite massimo nel caso delle supplenze annuali? Oppure possono essere annoverati nel computo tutti i servizi svolti (anche quelli estivi, ad esempio, quindi ad attività didattiche concluse).
Inoltre, il Miur farebbe bene a chiarire se il servizio svolto presso istituti privati o parificati (a condizioni spesso molto diverse rispetto a quelle della scuola pubblica) abbia la stessa valenza e considerazione numerica. 
L’equiparazione di servizi, in casi limite addirittura mai svolti, non verrebbe di certo bene accolta da coloro che hanno svolto la “gavetta” interamente nello Stato. Ancora una volta, poi, viale Trastevere continua ad ignorare due dei tre “tronconi” sulla formazione del DM 249/2010, dando esecuzione solo all’art. 15 dello stesso decreto. 
Sinora, le altre parti riguardanti la nuova formazione (in particolare quella relativa ai docenti che devono operare nel primo ciclo) non solo non sono state mai avviate. Ma neanche citate, se non altro per dare indicazioni o lumi ai diretti interessati. 
E l’amministrazione, francamente, non può continuare a rimandare la formazione specialistica di una fetta così grande di candidati. Che continuano incredibilmente a rimanere al palo. 
L’unico riferimento, nella nota dell’8 maggio, è questo: “l’abilitazione che si consegue a seguito della frequenza del TFA o dei corsi di laurea in Scienza della formazione primaria rappresenta solo la conclusione del percorso di formazione iniziale dell’insegnante e costituisce il presupposto per la partecipazione alle procedure concorsuali”. 
E, a detta dei sindacati, sarebbe anche sbagliato. Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, in particolare “da sempre ogni procedura abilitante è stata ritenuta concorsuale e quindi utile ai fini dell’immissione nei ruoli della scuola. È allora davvero sconcertante” il fatto che “si fa finta di non sapere che il titolo conseguito al termine dei corsi dalla formazione primaria consente l’inserimento diretto nelle graduatorie, dai cui si attinge il 50 per cento delle immissioni in ruolo”. 
La sensazione è che la matassa sia davvero ingarbugliata. E per scioglierla il Ministero dovrebbe mettere la formazione dei docenti tra le priorità del suo operato. Il tempo delle soluzioni affrettate o provvisorie è ormai scaduto.

Alessandro Giuliani

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