Tfa, è “strage” di candidati. Ma non solo i prof invecchiano aspettando il ruolo

Largo ai giovani. Quello che può essere considerato uno slogan buono per tutti i paesi e le stagioni, non sembra trovare terreno fertile in Italia. Ad iniziare dalla scuola, dove negli ultimi anni l’allungamento esponenziale del periodo di precariato ha portato l’età media delle immissioni in ruolo sopra i 40 anni di età. Mentre se si considerano quelli di ruolo ci si ritrova abbondantemente sopra i 50. Con prospettive ancora peggiori, dovute all’inasprimento dei requisiti richiesti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni per lasciare il lavoro.
Gli stessi concorsi pubblici, annunciati da mesi dal ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, lasceranno le parte sbarrate ai neo-laureati: saranno infatti aperti solo agli abilitati. E che come si fa a prendere l’abilitazione? Nell’ultimo decennio tramite le Ssis. Oggi attraverso i Tirocini formativi attivi. Ma gli ultimi accadimenti riguardanti i Tfa “normali”, l’unico concorso di fatto aperto ai giovani candidati docenti che non hanno avuto esperienze di lavoro almeno triennali, continuano nella stessa direzione: dopo il primo dei tre round selettivi sono rimasti in “vita” pochissimi aspiranti. Quindi pochissimi giovani. Il dato che più balza agli occhi è quello della A036, con 141 ammessi alle prove scritte selettive su oltre 4mila (quattromila!) candidati. Ma la “strage” appare ormai generalizzata: gli ultimi resoconti ci dicono, tanto per citanre uno, che a Verona il test di Francese non è stato superato da nessuno dei 68 partecipanti al test preselettivo. 
La rabbia dei tantissimi esclusi (in diversi corsi sono tutti già fuori causa!) è acuita dal fatto che non le esclusioni deriverebbero non solo dalla severità delle domande poste. Ma anche da non pochi refusi, inesattezze ed errori presenti nei test promossi. Tanto che anche le associazioni, come l’Unione Matematica Italiana
(che ha rilevato inesattezze in diversi quesiti proposti), si stanno muovendo facendo sentire la loro voce.
Il problema, comunque, non è solo della scuola. Qualche giorno fa, durante la presentazione di un report sull’anagrafe dei potenti italiani al tempo della crisi, nel corso dell’assemblea dei giovani della Coldiretti, è stato detto che l’Italia è il Paese con la classe dirigente più vecchia d’Europa: in questo caso la media arriva a sfiorare addirittura i 60 anni di età. Colpa soprattutto dei manager delle banche, che coi loro 67 anni di media risultano di gran lunga al primo posto. Ma anche i professori universitari non scherzano (63 anni), con un piccolo record: gli accademici ordinari (il top della carriera di docente universitario) con meno di 35 anni sono tre su un totale di 16mila. E appena 78 sono quelli che hanno soffiato meno di 40 candeline.
Sui politici, ad iniziare dai premier, si è detto tanto. Meno si sa, invece, dei direttori generali della Pubblica amministrazione: il report della Coldiretti ci dice che mediamente si attestano sui 57 anni, anche se poi si scopre che quelli che operano nelle aziende partecipate statali salgono a 61. E anche i rappresentanti dei lavoratori non sono da meno: i segretari regionali dei sindacati delle varie categorie non scendono sotto i 57 anni. Almeno su questo non si può certo dire che non siano coerenti…
Alessandro Giuliani

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