Senza scomodare troppo i princìpi di micro e macroeconomia: il TFA di specializzazione sostegno didattico è solo business per le università.
Infatti, tra preselezioni, selezioni e corso, gli introiti previsti raggiungeranno cifre da capogiro, fino a 50 milioni di euro!
Ci dicevano, i vertici dei dicasteri, i vari preposti e rappresentanti dell’amministrazione statale, che noi laureati in Scienze della Formazione Primaria non eravamo idonei alla specializzazione sostegno con un solo semestre aggiuntivo, ma che lo saremmo stati e lo saremo in 8 mesi.
Ci dicevano che non c’erano abbastanza insegnanti per i bambini con disabilità, ma ne sarebbero bastati e ne basteranno pochissimi rispetto al fabbisogno.
Ci dicevano che bisognava essere preparati e formati, ma quei pochi posti a bando si sarebbero tradotti e si tradurranno in “qualsiasi persona in graduatoria purché il bambino disabile abbia copertura”.
Ci dicevano di qualità didattica e ci dicevano ancora di 14.000 posti nei prossimi anni, ma omettevano che avrebbero partecipato e parteciperanno alle preselezioni tutti, dal diplomato del ’15-’18, senza formazione e aggiornamento, al laureato e al neolaureato, con percorso accademico selettivo e aggiornato.
Ci dicevano che noi, proprio noi laureati, non avevamo abbastanza esami in didattica speciale, ma avremmo appreso e apprenderemo dai calendari di Ateneo di discipline già studiate, di materie già sostenute, senza possibilità di riconoscimento crediti.
Ci dicevano che per ogni traguardo c’è un prezzo da pagare, ma non che, dalla partenza all’arrivo, l’impegno sarebbe stato e sarà solo monetario.
Non ci dicevano degli incassi delle università.
Non eravamo idonei noi o i preventivi degli introiti?
Ci dicevano che l’Università era comunità, luogo di cultura, di incontro e confronto tra docenti e studenti, ma non che si sarebbe risolta nella triste dicotomia esercente- cliente, in cui lo studente- docente, senza potere d’acquisto, avrebbe dovuto e dovrà fare a meno di beni e servizi. D’altronde, come per qualsiasi categoria di lavoratori, si può fare a meno di acquistare quella maglietta in vetrina, si aspetteranno, semmai, i saldi di fine stagione.
Non ci dicevano che avremmo dovuto fare a meno del futuro, di molte, troppe stagioni. Delle nostre stagioni.
Ma si può fare a meno della cultura? Si può fare a meno del diritto allo studio in un Paese democratico? Si può fare a meno del diritto di ogni bambino, specie se con bisogni educativi speciali, di avere insegnanti preparati?
Evidentemente, si può, ma non ce lo dicevano tra un esame e l’altro all’università, almeno non su carta.
Non ci dicevano che per ogni traguardo c’è un… “pizzo” da pagare.
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