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Tfa sostegno, il cambio di una “o” con una “e” modifica la selezione degli aspiranti

Secondo quanto disposto dall’articolo 44 del DL N. 36/2022, convertito in legge n. 79/2022, che recita: fino al termine del periodo transitorio di cui al comma 1, ai percorsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità accedono, nei limiti della riserva di posti stabiliti con decreto del Ministero dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell’istruzione, coloro, ivi compresi i docenti assunti a tempo indeterminato nei ruoli dello Stato, che abbiano prestato almeno tre anni di servizio negli ultimi cinque su posto di sostegno nelle scuole del sistema nazionale di istruzione, ivi compresi le scuole paritarie e i percorsi di istruzione e formazione professionale delle regioni, e che siano in possesso dell’abilitazione all’insegnamento e del titolo di studio valido per l’insegnamento.

Purtroppo la “e” – non la “o” come era nell’intento dei fautori della norma proposta inizialmente – crea una grande disparità di trattamento fra i docenti di scuola dell’infanzia e primaria (il cui titolo è già abilitante e quindi entrerebbero di diritto nel TFA di sostegno) e i docenti della secondaria di primo e secondo grado che, invece, per essere abilitati devono aver superato un concorso; di quest’ultimi, tra l’altro, se ne possono contare ben pochi ad oggi.

Il decreto ministeriale è in ritardo. Sicuramente, ipotizzando la tempistica, i test preselettivi si svolgeranno non prima di maggio 2023. Si tratta di una grande occasione perché ci sono circa 83mila cattedre in deroga attribuiti a personale non specializzato.

L’intento della normativa era quella di assicurare in modo diretto l’accesso a tutti i docenti in possesso dei tre anni svolti sul sostegno, in modo da valorizzare le competenze che questi docenti hanno acquisito sul campo e di dare la continuità didattica a tutti gli alunni disabili; l’ex vice presidente della Commissione Cultura al Senato, Mario Pittoni, ha più volte ribadito questo aspetto: “Le perplessità sulla norma inserita nel decreto Pnrr che consentirà l’accesso riservato ai corsi di specializzazione sul sostegno di chi vanta tre annualità di esperienza specifica derivano dal fatto che la sua lettura porta a pensare che i requisiti del possesso dell’abilitazione e del titolo di studio valido per l’insegnamento debbano essere posseduti entrambi, mentre per logica e continuità con la normativa precedente chi voglia specializzarsi sul sostegno e già lavora da almeno tre anni degli ultimi cinque nel settore, basta sia in possesso o dell’abilitazione o del titolo di studio valido”.

Andando nel dettaglio, ci rendiamo conto che, nella norma voluta dall’ex senatore della lega Mario Pittoni, c’era infatti il chiaro riferimento di permettere l’accesso al TFA sostegno per i docenti con 3 anni di servizio in alternativa a quelli con abilitazione. Il testo finale ha invece modificato la congiunzione o in e, lasciando un nodo che ancora oggi, alla vigilia del nuovo corso di specializzazione, non è stato sciolto.

I nodi che il MIM deve sciogliere, a nostro avviso, sono diversi:

– I tre anni prestati sul sostegno negli ultimi 5 sono sufficienti per accedere in modo diretto ai corsi senza abilitazione?

 – L’accesso diretto ai docenti con tre anni di sostegno negli ultimi cinque è ad accesso limitato o possono accedere tutti i docenti con i requisiti richiesti e in qualsiasi università scelta?

– I posti a cui eventualmente accederanno i docenti in possesso dei requisiti innanzi specificati saranno in soprannumero ai posti assegnati alle università dal MIM o saranno ricompresi nei posti assegnati?

– Potranno accedere in modo diretto ai corsi TFA anche i docenti che hanno svolto i tre anni sul sostegno su gradi diversi?

Il MIM deve, al più presto, sciogliere i nodi su queste tematiche anche confrontandosi con i sindacati ed emanare un decreto ministeriale di chiarimento su una legge del tutto ambigua.

La Lega, che fa parte del Governo attuale, non può dichiarare di essere a favore dei precari e poi non assumersi le dovute e dirette responsabilità. Quindi auspichiamo un intervento immediato da parte del governo, che chiarisca tutti i dubbi e le incertezze legislative innanzi citati, in modo che i precari sappiano con certezza le strade da seguire.

Antonio D’Ascoli

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