Com’è noto, la scuola italiana registra un’enorme sofferenza per la mancanza di docenti di sostegno.
Non ci si riferisce solo al fatto che ci sono migliaia di cattedre disponibili che non vengono inserite in organico, contribuendo ad alimentare il fenomeno del precariato.
Anche all’atto del conferimento delle supplenze, infatti, solo una minima parte dei docenti assunti è in possesso del necessario titolo di specializzazione (e in alcuni casi neppure della laurea).
Ci si aspetterebbe – nell’ottica di una indispensabile programmazione- che il Ministero attivasse corsi di specializzazione al fine di sopperire al fabbisogno e colmare l’enorme gap tra domanda ed offerta.
E’ stato calcolato – con riferimento all’anno scolastico 2018/2019- che, a fronte di ben 51.107 insegnanti senza il prescritto titolo di specializzazione, sono stati attivati corsi per appena 14.000 posti.
Si aggiunga il fatto che anche questi 14.000 sono stati distribuiti in modo non omogeneo, assegnando i posti a Regioni in cui c’è scarsa domanda e prevedendo pochissimi posti nelle Regioni in cui c’è più bisogno.
Il Consiglio di Stato, pronunciandosi sul ricorso prodotto da alcuni docenti che avevano presentato la domanda per accedere al corso di specializzazione per il sostegno, con sentenza n. 3655/2021 del 10 maggio 2021 ha osservato che la ripartizione dei posti tra le Università non segue il criterio del fabbisogno territoriale.
Per esempio, in Piemonte, il fabbisogno di insegnanti da specializzare nel 2018 ammontava a 4.657 posti, ma nell’ultimo ciclo di TFA sono stati autorizzati solo 200 posti.
In Emilia – Romagna il fabbisogno di insegnanti da specializzare ammontava a 4.860 posti (attualmente diventati 6.000), ma nell’ultimo ciclo di TFA ne sono stati autorizzati solo 320
In Calabria, invece, a fronte di un fabbisogno di soli 91 insegnanti specializzati, sono stati autorizzati ben 1.150 posti; mentre nel corrente anno scolastico all’Università di Bologna non è stato previsto nemmeno un posto.
Una situazione davvero imbarazzante per il Ministero, indice di una totale assenza di programmazione in un settore che avrebbe bisogno di ben altre attenzioni.
E’ emerso inoltre il totale “difetto di attività istruttoria” (in pratica, il Ministero non ha coinvolto né consultato diversi Uffici Scolastici Regionali).
L’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna si è lamentato di non essere neppure stato invitato alla riunione del Co. Re.Co. (Comitato Regionale per il Coordinamento delle Università), sebbene l’art. 2, comma 3, del D.M. 948/2016 preveda espressamente che “Il Co.Re.Co. integrato dagli atenei che hanno presentato l’offerta formativa e dal dirigente preposto all’USR, valuta la congruenza dell’offerta formativa”.
Lo stesso Ufficio- dopo aver espresso “rammarico per il mancato invito alla riunione”- ha osservato: “è stata perduta, in questa occasione, l’opportunità di confronto su di una problematica che costituisce grave motivo di difficoltà per la scuola emiliano-romagnola: sono migliaia i docenti in cattedra privi della prescritta specializzazione e con ciò delle competenze didattiche e pedagogiche necessarie per l’integrazione dell’handicap ai sensi della l. n. 104/1992”.
Il massimo organo della giustizia amministrativa è stato pertanto costretto a rilevare: “per ammissione della stessa amministrazione resistente è mancata la necessaria preventiva consultazione tra le Università e gli Uffici scolastici regionali in merito ai fabbisogni di personale da specializzare per le attività didattiche di sostegno”.
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