E’ quanto accade ad Alice, insegnante precaria di religione, che – ormai sessantasettenne- si è vista arrivare la tanto agognata immissione in ruolo.
Senonché, la normativa scolastica prevede che al primo anno di ruolo il dipendente venga retribuito con lo stipendio base, indipendentemente dall’anzianità di servizio.
La stessa normativa prevede che gli insegnanti precari di religione hanno diritto agli scatti biennali di anzianità.
Dopo tanti anni di precariato, Alice percepisce ormai uno stipendio di almeno 400/500 euro netti al mese in più, rispetto allo stipendio base.
Con l’immissione in ruolo, subirebbe una perdita secca di oltre 5000 euro all’anno.
Superato l’anno di prova, Alice potrebbe presentare domanda di ricostruzione carriera, per far valere gli anni di precariato.
Ma avendo già sessantasette anni, non farà in tempo, in quanto l’anno prossimo sarà collocata in pensione.
Alice si trova costretta a rinunciare al tanto sospirato ruolo.
In realtà, la Corte di Giustizia Europea ha da tempo affermato il principio secondo cui la trasformazione di un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non può comportare l’applicazione di condizioni contrattuali in senso globalmente sfavorevole all’interessato, quando l’oggetto del suo incarico e la natura delle sue funzioni restano invariati (Sent. C.G.U.E. C-251/11 Huet/Universitè de Bretagne Occidentale).
La ratio di tale decisione- come espressamente affermato dalla C.G.U.E. nella citata sentenza – è quella di evitare che il dipendente sia “dissuaso” dallo stipulare il contratto a tempo indeterminato, in quanto meno favorevole rispetto a quello a tempo determinato, “perdendo in questo modo il beneficio della stabilità dell’impiego inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori”.
Ce la farà Alice a passare finalmente di ruolo?
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