La vicenda della mascherina, che probabilmente dovrà essere indossata (almeno in un primo periodo) dagli alunni in classe non verificandosi le condizioni che avrebbero potuto consentire un accesso in sicurezza almeno nei luoghi delle lezioni (ma francamente in ogni caso nella condizione attuale di moltissimi istituti scolastici, della composizione delle classi, degli organici insufficienti, per non parlare di quanto meno “improbabili”, se non ridicoli, luoghi additati come utilizzabili per fare lezione al fine di supplire alla carenza di strutture adeguate, a noi appariva assai improbabile che tale condizione si potesse verificare già settembre nella maggior parte dei casi), è stata “sviscerata” già ieri in modo direi esaustivo dal direttore ed altri redattori di questa rivista.
A me interessa soprattutto analizzare un aspetto: le esternazioni continue, la sovraesposizione mediatica della ministra, alla fine che risultati danno, a cosa hanno portato?
Al Ministero dell’Università utilizzano strategie di comunicazione differenti e senza ricorrere ad esternazioni quasi giornaliere (certo, il mondo universitario è pur vero che gode di certi “privilegi” e gli viene attribuito un “peso specifico” ben diverso da quello della scuola) hanno però ottenuto (almeno nel rapporto con il Cts) quanto in fondo richiesto, agendo quasi “sottotraccia”.
Ma andiamo con ordine. Mentre il Cts (Comitato tecnico scientifico) richiama la necessità che “tutti gli studenti di età superiore a sei anni dovranno indossare – per l’intera permanenza nei locali scolastici – una mascherina chirurgica o di comunità di propria dotazione, fatte salve le dovute eccezioni (ad esempio attività fisica, pausa pasto) nell’ambito dei contesti dove non si riesca a garantire il distanziamento fisico”, la ministra Azzolina in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera e pubblicata on line il 13 agosto afferma: “il Cts mi ha appena dato conferma che va indossata nelle situazioni di movimento. Ma se nelle aule si riesce a mantenere un metro di distanza, una volta seduto al banco lo studente può abbassare la mascherina”.
Questa la risposta dopo il dubbio espresso da Monica Guerzoni (la collega che ha fatto l’intervista) che ha evidenziato come “i genitori ancora non sanno se i figli saranno in classe con la mascherina o no”.
Allora la sottolineatura della ministra sembra volere tranquillizzare (ammesso che invece non vi siano genitori più sereni nel caso sappiano che i loro figli indossano comunque la mascherina in un luogo chiuso come le classi scolastiche), ma omette di dire che “anche per i ritardi di consegna dei nuovi banchi e per via dei tempi ristretti per individuare gli spazi, considerando anche che il ministero dell’Istruzione continua a sollecitare i presidi per avere chiaro il quadro degli interventi e delle necessità ancora in capo alle scuole, si scopre che il distanziamento era solo auspicabile. Ma non proprio così indispensabile”, come ha prontamente evidenziato Alessandro Giuliani in un suo articolo di ieri che fa il punto sulle problematiche legate alla ripresa a settembre delle attività didattiche.
E qualche sindacato firmatario del Protocollo di sicurezza si è fatto sentire immediatamente, a cominciare dallo Snals-Confsal, la cui segretaria generale Elvira Serafini rileva: “l’evoluzione della situazione epidemiologica, ma soprattutto l’incertezza sulla tempestiva disponibilità di banchi monoposto, spazi e strutture mobili, costringe il Comitato tecnico scientifico a rielaborare le misure di prevenzione per la ripresa delle attività didattiche. Dall’ultimo verbale del Cts inoltrato alle scuole con una nota del M.I. veniamo a sapere che le mascherine ora possono compensare l’insufficiente distanziamento”. E aggiunge: “Per lo Snals-Confsal la scuola deve riprendere le attività didattiche regolarmente, con gli spazi necessari e gli arredi che consentano la sicurezza del personale e degli alunni. Pertanto, nessuna riduzione delle misure di prevenzione già definite e adottate con il protocollo di sicurezza che abbiamo sottoscritto. Qualsiasi loro modifica che implichi una diversa attuazione delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro deve essere discussa e condivisa con le parti sociali”.
Il verbale n. 100 del Cts, che peraltro non si sofferma soltanto sull’uso della mascherina, è del 12 agosto scorso (facendo riferimento all’incontro tenuto due giorni prima). Ma già nel “Protocollo d’intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico nel rispetto delle regole di sicurezza”, firmato il 6 agosto dalla ministra Azzolina e dai sindacati più rappresentativi coinvolti nell’intesa (tranne la Gilda Unams che ha ritenuto inadeguato tale protocollo), si legge: “il Cts si esprimerà nell’ultima settimana di agosto in ordine all’obbligo di utilizzo di mascherina da parte degli studenti”. Così come riportato d’altra parte nelle stesse faq all’interno della pagina “Rientriamo a scuola” del sito ministeriale.
Quindi che fretta aveva la ministra di dire che aveva ricevuto “appena conferma dal Cts” se comunque tutto era rimandato all’ultima settimana di agosto e il Comitato tecnico scientifico presso il Dipartimento della Protezione Civile si mostrava prudente? Ed era da pochissimi giorni stato preannunciato un nuovo monitoraggio finalizzato ad “acquisire ulteriori dati da parte delle Istituzioni scolastiche, a mezzo di un breve questionario” da compilare entro il 17 agosto: l’indagine servirà ad avere chiaro “il quadro degli interventi e delle necessità ancora in capo alle scuole”.
Inoltre, facendo riferimento alle linee guida per il rientro a scuola a settembre, sul proprio sito web “il Messaggero” scrive in data 4 agosto: “A settembre con il ritorno in presenza per i più piccoli niente mascherine (sino a 6 anni di età, n.d.R.), lo confermano le linee guida pubblicate sul sito del ministero dell’Istruzione, mentre per tutti gli altri studenti la decisione, come ribadito dalla ministra Lucia Azzolina, dipenderà dai dati epidemiologici sulla base dei quali deciderà il ministero della Salute”.
E il ministro della Salute, Roberto Speranza, su Radio Rai 1 aveva confermato: “il Comitato tecnico scientifico si riunirà a fine agosto per fare una valutazione finale. E’ chiaro che dobbiamo tenere un livello di precauzione elevato”, aggiungendo: “le mascherine non scompariranno, questo è certo. Si potrà pensare a un uso graduale, lo valuterà il Comitato tecnico scientifico. In questo momento sono rimaste tre norme essenziali: utilizzo delle mascherine, distanziamento di almeno un metro e divieto di assembramenti e il rispetto di norme igieniche fondamentali a partire dal lavaggio delle mani”.
Possibile che il Comitato tecnico scientifico non abbia riferito alla Azzolina, precedentemente all’intervista pubblicata sul Corriere della Sera l’altro ieri, del problema sorto dalla mancata possibilità di avere nei tempi annunciati i banchi monoposto e le grandissime difficoltà a reperire eventuali sedi alternative alle aule scolastiche? Se la risposta è sì, allora la ministra ha problemi di comunicazione con il Cts, se invece era stata allertata perché non ha detto chiaramente che la mascherina andrà comunque indossata in quasi tutte le scuole anche durante le lezioni, almeno sin quando non sarà completato l’invio dei banchi monoposto (e… con rotelle), che però difficilmente potranno risolvere una situazione che si poteva affrontare con risultati soddisfacenti soltanto assumendo un numero adeguato di personale e riducendo di fatto le “classi pollaio”? Certamente, ciò aveva un determinato costo, ma se la scuola è davvero una priorità i soldi (come per il settore della sanità) vanno trovati. Magari, come evidenziato in un articolo di Alvaro Belardinelli, riducendo il budget delle notevoli spese militari.
Invece, senza clamore e senza esternazioni quasi quotidiane, il ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, e i rettori (certo, come detto, il “peso” della Crui non è indifferente, per usare un eufemismo!) hanno trovato una sorta di accordo con il Cts, anche se attraverso un meccanismo che non so se possa davvero risolvere i problemi del distanziamento durante le attività didattiche negli Atenei: una flessibilità del 10% sulla distanza minima di un metro che gli studenti dovranno mantenere, insomma si potrebbe dire uno “sconto” del 10% tenendo conto di aspetti antropometrici e della dinamicità della postura, anche in considerazione che è appunto previsto sempre l’obbligo dell’utilizzo della mascherina, come definito in un carteggio tra il Mur e il Cts di cui abbiamo scritto in un articolo pubblicato un paio di giorni fa.
Ripeto, in molti hanno il dubbio (a parte commenti ironici sugli “aspetti antropometrici e della dinamicità della postura”) che con una flessibilità del 10°% si possa risolvere il problema degli spazi anche utilizzando una disposizione “a scacchiera”. Chiaramente si tratta di strutture ed ambienti spesso assai differenti rispetto a quelli scolastici. Ma le cose più interessanti della faccenda secondo me sono due: la prima è che agendo con discrezione (magari un po’ “sottotraccia”), invece di inutili “sovraesposizioni” e continue “esternazioni” o necessarie “correzioni” di precedenti frettolose dichiarazioni, si ottengono evidentemente migliori risultati; la seconda è che la Crui (e il Mur) motivano la richiesta di “flessibilità” del 10% con il fatto che “una lettura rigida del vincolo di 1 metro impone una turnazione degli studenti, la predisposizione di ulteriori spazi (spesso neppure disponibili sul territorio) e costi non sostenibili per la docenza e gli spazi aggiuntivi da acquisire”.
Perché trovare ambienti e spazi aggiuntivi ha un costo: qualcuno si è chiesto quali sarebbero le cifre di affitto giornaliere per usufruire di teatri, cinema, musei nonché per la loro pulizia (la dovrebbe fare forse il personale ausiliario delle scuole?!), a parte l’idoneità degli ambienti e il dubbio sulla loro sanificazione (che dovrebbe essere effettuata quotidianamente soprattutto se in altri orari mantenessero la loro peculiarità di ospitare i visitatori o gli spettatori; oppure si sospende la fruizione di musei, teatri, cinema, biblioteche, ecc. per utilizzarli come “succursali” scolastiche?!).
Come ovviamente ha un costo assumere un numero adeguato di docenti magari per sdoppiare le classi, e nel frattempo si sarebbero dovuti iniziare già dalla primavera (con le scuole chiuse per il “lockdown”) i lavori di ristrutturazione degli edifici scolastici (almeno iniziando dai più vecchi o addirittura pericolanti). Certo, nelle condizioni di “impasse” attuali, diventa comprensibile la logica applicata dal Mur di “barattare” l’obbligo della mascherina con il mantenimento di circa 90 cm di distanza (non sarebbe come a scuola che si deve indossare la mascherina per restare però nelle vecchie anguste aule con banchi a due o anche tre posti, quindi a distanze minime): i fatti però diranno se (almeno per gli Atenei) la “flessibilità” (molto limitata) sul distanziamento sarà risolutiva (certamente le università, avendo anche studenti provenienti da province differenti e in diversi casi da regioni diverse, applicheranno in parte ancora il sistema della didattica a distanza).
Ma è sul “modus operandi” molto differente nella comunicazione tra Ministero dell’Università e delle Ricerca e quello dell’Istruzione che ci interessa soffermarci: i risultati evidentemente non si ottengono con i “proclami”, le “dichiarazioni autocelebrative” (del tipo: “Sono al lavoro senza sosta”, o assumersi il merito di essere riusciti a far riaprire tutte le scuole per il 14 settembre, quando esattamente come per gli anni passati il Ministero indica una data che gli Usr, come avvenuto anche quest’anno, possono poi autonomamente anticipare o posticipare), oppure spesso risentite verso chi agli occhi della ministra ostacola i suoi programmi (dando l’impressione qualche volta persino di insofferenza). Ripetute polemiche con i sindacati, Consiglio superiore della pubblica istruzione sostanzialmente ignorato quando ha espresso pareri non in linea con le indicazioni ministeriali, altre “frizioni” stavolta con i giornalisti: emblematico quanto scritto dalla Azzolina su Facebook (“Ci si è ormai abituati persino a leggere frasi virgolettate che non sono mai state pronunciate”), riferendosi all’articolo pubblicato sul quotidiano laStampa.it, in un passaggio del quale è attribuita al ministro questa frase: “Questo tema della mancanza di aule non è nuovo né ci deve scandalizzare il fatto che si studino soluzioni alternative, come i bed&breakfast”.
La ministra ha smentito di avere detto questa frase sui bed&breakfast, ma io leggo la frase appena scritta virgolettata e allora, soprattutto trattandosi di una testata nazionale e autorevole come “La Stampa”, avrebbe fatto bene Lucia Azzolina a chiedere allo stesso giornale una smentita ufficiale: mi sarebbe piaciuto sapere la controreplica del quotidiano torinese. Francamente non so se la ministra abbia detto quella frase, ma so che qualcuno di hotel e bed&breakfast aveva parlato: l’Ansa aveva riportato una dichiarazione di Cristina Giachi, responsabile Scuola dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci): “Compatibilmente con le risorse disponibili prevediamo presto la pubblicazione di avvisi pubblici in diversi Comuni, per il reperimento di spazi dove poter allestire le aule per ospitare le classi che dovranno fare lezioni nei luoghi alternativi al proprio istituto”, aggiungendo: “Gli avvisi pubblici saranno aperti a tutti; laddove sarà necessario, oltre a musei, cinema e centri congressi, potrebbero partecipare anche hotel, bed & breakfast e perfino appartamenti singoli, purché le strutture rispettino i requisiti di capienza e sicurezza”.
A parte la “querelle” su hotel e bed&breakfast, secondo noi “la scuola” (le lezioni, poi ovviamente possono esserci attività didattiche esterne) deve essere fatta… a scuola! Quindi si doveva e si dovrà provvedere a realizzare istituti scolastici adeguati (ristrutturati o nuovi, almeno nell’emergenza resi “sicuri” quelli che presentato problemi strutturali), come si dice inutilmente da decenni.
Per non parlare della polemica con i docenti nella prima fase della Dad seppure la stragrande maggioranza di loro aveva aderito con dedizione (in quel momento secondo me giustamente, purché la didattica a distanza si limiti alle fasi emergenziali, mentre sembra francamente, come immaginavamo, che in qualche modo si voglia “istituzionalizzare” almeno nella scuola superiore – con il nuovo nome “didattica digitale integrata” – nonostante la contrarietà della maggior parte di pedagogisti, docenti, genitori, sindacati e alunni stessi) pur volendo comunque mantenere la propria libertà di insegnamento sancita da Costituzione e contratto, facendo correre il rischio di mettere contro senza che ce ne fosse stato reale motivo dirigenti scolastici e insegnanti (presidi a cui la ministra ha dato l’onorificenza di “capitani della nave” ma poi ha lasciato loro la “patata bollente” di prendere responsabilità gravose, magari per farli nuovamente sentire importanti quando risponde “io ascolto i dirigenti scolastici, che hanno fatto richiesta perché abbiamo i banchi di non so che epoca” ad una domanda di Monica Guerzoni: “Per l’infettivologo Galli non servono banchi, ma medici e presìdi sanitari. Ci saranno?”).
Sorvoliamo sulla sottolineatura “io ho due lauree” come risposta ad accuse di presunta incompetenza, nonché su gaffe tipo quella “sull’imbuto da riempire” o su espressioni come “il sapore della maturità”, ma il continuo incalzare di dichiarazioni sovrabbondanti di elogi al proprio operato (e/o a quello del Ministero da lei diretto) sembra a volte davvero eccessivo. L’ultima la cogliamo proprio nella citata intervista al Corriere della Sera: “Abbiamo messo su una macchina poderosa che permetterà al commissario Arcuri di erogare fino a 50mila litri al giorno di gel igienizzante, altra cosa fondamentale. È un miracolo, nessun Paese europeo sta facendo quel che stiamo facendo noi”.
Non solo una “macchina poderosa” (farà la fine della “gioiosa macchina da guerra” allestita da chi avrebbe poi perso sonoramente le elezioni politiche del 1994, aprendo la strada, a parte alcune parentesi, ad una lunga stagione di decadimento della politica stessa?) ma… addirittura un “miracolo”!
Un atteggiamento che forse ha un po’ contagiato anche altri dirigenti al Ministero: a conclusione della nota diramata in data 13 agosto con oggetto “Trasmissione verbale Cts e indicazioni al Dirigenti scolastici”, il capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, Marco Bruschi (un tempo meglio conosciuto come Max Bruschi, quando era consulente della ministra Gelmini all’epoca dei tagli ai finanziamenti alle scuole e dei tagli al personale) si “concede” la seguente frase non proprio in stile nota ministeriale: “Una simile capacità operativa ci ha consentito di affrontare serenamente gli esami di Stato. Capisco che la loro riuscita non ha rappresentato una ‘notizia’, ed è un peccato che in pochi abbiano riconosciuto questo successo, in maniera inversamente proporzionale ai molti che preconizzavano, sino al giorno prima, disastri”. Egregio dott. Bruschi a proposito di quegli esami di maturità in presenza (magari come dice lei un successo), un dato di fatto è che il loro svolgimento in presenza è stato una “forzatura” perché contrastava con il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, se si tiene in considerazione che il Dpcm dell’11 giugno scorso prorogava sino al 14 luglio la sospensione delle attività didattiche in presenza: e per il Testo unico (“legge primaria”) gli esami di maturità sono proprio attività didattiche. Per capire meglio i passaggi normativi di questa faccenda invito a leggere un articolo scritto sull’argomento qualche tempo fa.
E gli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione si svolsero nel mese di giugno, ma quando fu presa la decisione di farli svolgere in presenza la situazione sanitaria era migliorata ma ancora considerata a forte rischio da eminenti virologi.
Ma un certo istinto alla rabbia e alla polemica permane nella ministra Azzolina (che forse ha anche una qualche inclinazione alla permalosità), anche quando dopo le inquietudini sulla effettiva sicurezza (per i ragazzi, ma anche per il personale scolastico e i familiari a casa), le prese di posizione di sindacati, presidi (attraverso il presidente dell’Anp), varie forze politiche di opposizione (le quali certo non hanno “fatto sconti” al ministro e al Governo), le ironie e il disappunto di molti, la stessa ministra cerca di smorzare le polemiche considerando quella del Cts una eventuale disposizione temporanea, in attesa che vengano individuati gli spazi aggiuntivi e giungano nelle scuole i banchi monoposto e quelli innovativi e dicendo “sto facendo i salti mortali con tutto il governo e tutti quelli che stanno lavorando per la riapertura delle scuole”. Ma alla fine l’istinto prevale ed emerge ancora una volta una certa irritazione: “vorrei tanto che lo stesso sforzo lo facessero tutti, mi aspetto di vedere responsabilità. Lo sforzo per il bene della scuola deve essere di tutti”.
Chi non si sta sforzando, ministro? Chi non dimostra responsabilità?
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