Giovani offesi, aggrediti, massacrati di botte o addirittura uccisi per futili incomprensioni o banali litigi, episodi di teppismo coronati di violenze gratuite e di assurda crudeltà, relazioni adolescenziali conflittuali, pericolose e difficili sono in continuo e costante aumento.
Secondo alcuni dati ISTAT le vittime assidue di soprusi e violenze riguardano ragazzi di un’età compresa tra 11 e 17 anni. Mentre, secondo uno studio inglese, giovani clinicamente disturbati o depressi sono più propensi ad avere reazioni violente in situazioni ambientali caratterizzate da fisiologici momenti di scontento o di fastidio.
Se, dal punto di vista educativo, essere giovani vuol dire capacità di speranza e di tensione verso traguardi rispettosi della dignità della persona, propensione alla solidarietà, all’amicizia, all’amore, al desiderio di comunione, impegno a perseguire civilmente e responsabilmente determinati ideali, perché tanta violenza?
Per rispondere a questa domanda, occorre, forse, risalire a monte, ovvero, a quelle deleterie esperienze di vuoto esistenziale e di valori che, improvvisamente, trasformano persone apparentemente normali in belve inferocite, che trasmettono nelle coscienze dei giovani la rinunzia al rispetto dell’ altro, l’odio e la voglia di imporsi a tutti i costi con la forza e con la violenza.
Generalmente, il dilagare della permissività e contrastanti modelli di vita inautentica, sconcertano, alterano e sconvolgono il già fragile e precario equilibrio interiore di alcuni giovani.
Soprattutto in quei ragazzi che crescono in ambienti di subcultura, di alcool, di droga, di intolleranza alle regole, di educazione alla violenza, maturano tragedie assurde che, come in un film dell’orrore, hanno, quasi sempre, come protagonisti non giovani traviati e privi di slancio vitale, ma giovani ricchi di prospettive ed ideali.
Infatti, una vita disorientata e senza ideali può facilmente trasformare in tensioni negative di aggressività e di violenza, sia individuale che collettiva, piccole divergenze o difficoltà legate a normali situazioni di convivenza civile.
Si può dire, che le reazioni di chi manifesta senso d’insicurezza sono, generalmente, eccessive e distruttive e possono trasformare in tragedia anche gli episodi più insignificanti. Un banale diverbio o un semplice conflitto diventa, così, espressione di un fallimento e di una sofferenza interiore che genera un’atmosfera di continua ed esasperata tensione e provoca fratture relazionali sempre più ampie, aggressive, profonde e insanabili.
Ne consegue la necessità di un lavoro sistematico di prevenzione ed educazione per riversare, attraverso piccoli vasi, la tolleranza, la comprensione, la benevolenza, l’amicizia e l’amore per la giustizia, la pace e la fratellanza, nel cuore di altri giovani e, quindi, isolare e distruggere ogni ramificazione dell’ odio e della violenza.
Nella maggior parte dei casi, però, ogni tentativo di intervento è ostacolato e complicato da stimolazioni eccessivamente violente, a cui sono sottoposti molti giovani, e che caratterizzano una società litigiosa e conflittuale, la quale offre, anche attraverso la rete, l’immagine di una realtà disorientata e dispersa, disgregata e polverizzata sotto il martellare continuo di tante e così varie contrapposizioni, discordie e tensioni che fanno trascurare il bene e incitano all’uso della forza fisica e della violenza.
E allora – ci si potrà chiedere – quali prospettive si possono aprire per questi giovani prigionieri di se stessi, dei propri tormenti, così appariscenti e intemperanti, abbagliati dalla rabbia dell’incoscienza che non consente loro di vedere l’immagine semplice, pacifica e positiva della vita di relazione?
Con le dovute cautele, bisognerebbe aiutarli a compiere, non in solitudine, una sorta di volenteroso e coraggioso noviziato, che agevoli la costruzione di una coscienza chiara e coerente con la bontà, con la bellezza e con la serietà della vita e che permetta loro di raggiungere uno stato di serenità e di prezioso equilibrio.
Anche se non sempre questi giovani riescono ad apprezzare e ad accogliere le regole e gli equilibri della semplice realtà quotidiana, è questo il livello di maturità necessario per la costruzione di una società fondata sul rispetto, sulla tolleranza e sulla comprensione reciproca e veramente libera da uno stato insostenibile di nevrosi e d’infelicità.
Appare indispensabile permettere loro, attraverso un soddisfacente e felice tirocinio formativo che affonda le sue radici nella bontà, nell’autocontrollo e non nella forza, di diventare uomini nel migliore dei modi, che sappiano aprirsi alle più ampie e felici esperienze del mondo che li circonda.
Infatti, il volto del giovane diventa veramente bello solo quando riesce a trovare quella stabilità e fermezza di valori che permettono di riappropriarsi della propria identità, di vedere nell’altro non un nemico con cui lottare, ma un compagno di uno stesso difficile viaggio.
Alcuni giovani, purtroppo, tra alcool, droga ed esperienze più basse, come il protagonista del romanzo “Il giovane Holden” di J.D Salinger, non hanno alcuna intenzione di crescere, molte esperienze non riescono a colmare i vuoti, li lasciano depressi e, per questo, si sottraggono ad ogni regola.
Catturati dai social, hanno paura del dialogo, del confronto, dell’incontro reale che scuote veramente l’animo e permette di vivere, condividere e crescere insieme nella fraternità, nella relazione e non nell’alienazione.
Certo, in determinate situazioni la responsabilità ricade, generalmente, sull’intera società, ma scuola e famiglia non devono rinunciare alla loro autorità e, soprattutto, devono costruire una piattaforma ideale sulla quale poter costruire basi concrete per il dialogo e la discussione.
Non serve o serve a poco rinchiudersi nel mito della propria esperienza o ripetere facili affermazioni come “Ai miei tempi”, occorre impegnarsi per la costruzione di un nuovo ordine culturale e morale legato all’evoluzione di una vita più libera, più divertente, più felice, più trasgressiva e più ricca.
Fernando Mazzeo
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