Riluttante deriva dal latino, reluctāri, cioè lottare contro, opporsi. Don Chisciotte si oppose ai mulini a vento, ma vi rimase appeso; come rimane appeso, nella sua ansia di migliorare la scuola, anche una certa schiera di docenti, innamorati del loro mestiere, ma poi, appena si immergono nei meccanismi su cui si poggia, diventano restii e refrattari fino alla delusione. Il libro di Tiziano Gorini, “Il professore riluttante”, Armando Editore, vorrebbe evitare questo, anche se rimodula un vecchio adagio sessantottino: volevo cambiare la scuola ma la scuola ha cambiato me. Come? Con la delusione, prima nella “noia” rappresa nei volti dei colleghi, e poi nel disinteresse dei ragazzi, avvezzi ad altro, mentre la burocrazia burocrate sforna documenti, formalità, ma senza incidere nella sostanza.
Nello stesso tempo pedagogisti illustri propongono vie nuove, ammiccando all’America, compresi i test “oggettivi” per misurare che cosa non si è capito, mentre l’implementazione della tecnologia ha lo scopo di coprire il vuoto lasciato dalla politica dei risparmi. E così la scuola produce ignoranti, di “ritorno” o “tollerabili”, la cui diffusione non pare interessare, anche se questi stessi possono poi diventano a loro volta prof, con una semplice domanda al preside, ma anche politici.
Che fare allora? Il prof riluttante, ben sapendo che è difficile insegnare in mancanza di interesse da parte del discente, ha capito che tutto dipende dal suo buon volere, dal suo essere missionario dentro una roccaforte neghittosa e allora fa l’intrattenitore, capendo però che così la diseguaglianza sociale si accentuerà e il futuro dei ragazzi malandati è compromesso.
Da qui il grido di dolore: nulla oggi è più urgente di fermare la crisi della scuola, e che, e soprattutto, bisogna avere il coraggio di cercare alternative per affrontare un triplo salto mortale per ridarle dignità, perduta nei meandri di una politica che alla scuola ha da troppo tempo guardato con sempre più ignoranza.
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