Non è tanto una questione giuridica, perché si è ben consapevoli del quadro negativo in tal senso sussistente, anche se non si deve dimenticare la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila del 2012, in merito al noto caso del Giudice Tosti, quando afferma “che è meritevole di tutela, alla luce dei principi costituzionali,il diritto dei difensori e dell’imputato a presenziare e ad esercitare le prerogative difensive in un’aula di giustizia priva di espliciti simboli religiosi”.
Principio in via analogica ben estendibile anche nelle classi delle scuole ove è presente il crocifisso ed ove il docente o lo studente, che per diversi motivi, vede la propria sensibilità umana e laica essere invasa da quel simbolo religioso, ben può pretendere la rimozione.
Certo, il rischio è quello di avere aule “ghettizzate” però esiste questa possibilità, specialmente quando, oggi, nel 2014, si continua a registrare un mero accanimento nei confronti di omosessuali, lesbiche,trans, nei confronti di persone che pretendono giusti ed incontestabili diritti ma che lo Stato italiano, vincolato a dogmi religiosi conservatori tende ancora a negare.
Non è neanche una questione meramente normativa, pur trattandosi di atto che risale a legislazione del periodo fascista ed ancora vigente. E’ una questione di rispetto. Davide Zotti, docente a Trieste e responsabile scuola nazionale per l’Arcigay e componente dell’Esecutivo nazionale Cobas scuola, ha pubblicato una lettera breve ma concisa con la quale rivendica il suo gesto e denuncia quelle violenze che lui come tante altre migliaia di persone continuano quotidianamente a subire.
E quando si travalica l’oltre ogni atto, ogni gesto, per quanto simbolico e rilevante, non può che essere compreso e giustificato e sostenuto se attinente alla rivendicazione di giusti diritti civili. Queste le parole di Davide Zotti: “Questa mattina ( 23 ottobre 2014 ndr) sono entrato nella mia classe e ho tolto dal muro il crocifisso. E ho poi spiegato ai miei studenti perché l’ho fatto. Perché ieri per l’ennesima volta un importante esponente della gerarchia cattolica, sul Corriere della Sera, ha ribadito le posizioni omofobiche della Chiesa, affermando che l’omosessualità non è conforme alla realtà dell’essere umano.
Nulla di nuovo ma non per questo meno grave. Come docente e omosessuale non posso più accettare di svolgere il mio lavoro in un luogo, l’aula, segnato dal simbolo principale della Chiesa cattolica, che continua a calpestare la mia dignità di persona omosessuale. Non intendo più insegnare sotto un simbolo che rappresenta un’istituzione che continua a delegittimare la mia persona e quindi il mio stesso ruolo educativo.
Ho scelto la disobbedienza civile, con tutte le conseguenze che ne deriveranno, in quanto il nostro Stato non ci tutela da chi ci discrimina, anzi garantis ce, in un ambito che dovrebbe essere laico, come la scuola pubblica, la presenza simbolica e di fatto di una Chiesa che non perde giorno per insultarci, in quanto persone che rivendicano diritti individuali e sociali.
Mentre pagherò di persona le conseguenze del mio gesto, i rappresentanti delle più alte gerarchie della Chiesa cattolica potranno continuare indisturbate a fare dichiarazioni discriminatorie e lesive della nostra dignità. E’ un atto tutto politico di disobbedienza civile di fronte a uno Stato che non difende una parte dei suoi cittadini ma garantisce invece chi quei cittadini li discrimina”.
La scuola pubblica deve essere il primo luogo ove si deve affermare l’amore ed il rispetto per la cultura e quando violenze perseveranti continuano a trovare affermazione, anche attraverso i simboli, poiché i simboli diventano la rappresentazione di quel potere che mantiene la negazione dei diritti, la rimozione di tali simboli è un gesto che diviene cultura, cultura per i diritti, cultura per il rispetto reciproco, quella reciprocità che oggi non esiste e non sussiste e che viola ogni fondamento di laicità e di libertà.
Per questi motivi il gesto culturale e di protesta di Davide Zotti merita, a parer mio di essere, sostenuto e condiviso.