Dura a morire. Nonostante tutte le campagne ‘denigratorie’ e i tentativi, spesso troppo decisi e ‘violenti’, a dispetto delle ‘verità’ di sommi e infallibili esperti dell’educazione, malgrado tutti gli sforzi fatti dai ‘superiori’, la Lezione Frontale sembra resistere ancora, anzi godere di buona salute.
Questo il risultato di un recente sondaggio nazionale (novembre) condotto da Erickson e presentato al convegno ‘Didattiche.2024’ sd Rimini. Proprio così. Il 70% dei docenti (secondo la ricerca svolta) sembra ancora (incredibile!) prediligere la lezione frontale come modalità (unica o principale) per educare e far crescere correttamente i ragazzi. Quasi accantonate (o poco usate e saltuariamente) altre forme didattiche ‘innovative’ (lezione a ‘tre quarti’, ‘di spalle’, ‘rovesciata’, ‘aperta’ o altro) e ‘attive’, come l’apprendimento per ‘ambienti’.
Non solo, il sondaggio evidenzia ancora l’uso importante dei libri di testo (cartacei) per lo studio (uno studio prevalentemente individuale).
Certo, con tutte le ‘maledizioni’ lanciate da più parti contro la lezione frontale, viene da chiederci come mai questo ‘vetusto’ e ‘obsoleto’ metodo di insegnamento mantenga ancora il primato didattico e non sia stato relegato in qualche museo. Forse perché è ancora attiva (problema delle pensioni) un’ampia percentuale di docenti ‘datati’ (come lo scrivente) e ancora aggrappati (per indolenza o difficoltà di ‘comprensione’) a vecchi metodi insegnamento?
Non credo. I miei giovani colleghi utilizzano la lezione frontale come o più di me (così somministrano più compiti a casa o mettono alla prova gli alunni con più verifiche – rigorosamente svolte con carta e penna -).
O forse le didattiche ‘alternative’, seppur continuamente propagandate non sono state spiegate in modo chiaro e limpido? Scarterei anche questa ipotesi. I ‘mille e uno’ corsi di nuove didattiche, a cui abbiamo ‘volontariamente’ partecipato, sono stati svolti dai maestri dell’innovazione in maniera eccelsa (meglio non si poteva fare).
Forse proprio per questo i docenti, dopo aver capito ed esaminato le didattiche del futuro in tutti i loro benefici e nei loro difetti (non pochi) hanno deciso di restare fedeli alla tradizione. La risposta al quesito, probabilmente, è più ovvia e semplice di quanto ci si possa attendere. La lezione frontale rappresenta il metodo più naturale, spontaneo e valido per poter insegnare. Almeno all’inizio di una lezione o nelle fasi iniziali nelle quali viene affrontato un argomento.
Altre metodiche didattiche non hanno la stessa efficacia o risultano addirittura inutili. Una lezione frontale ‘tradizionale’ mantiene tutto il suo valore (il valore di una volta), non vi è alcun dubbio, ma se si ritiene utile rinnovarla si può (e forse si deve) fare. Si può (probabilmente si deve) unire sinergicamente la tradizione all’innovazione, certo, ma prima di operare in modo ‘diverso’ o di attivare, nella classe, processi di apprendimento ‘autonomi’ e ‘moderni’, è assolutamente necessario che il docente (chiamiamola lezione frontale, ‘introduzione’ o soltanto ‘preliminare’) prepari (con discorsi, letture, schemi, controlli) gli allievi ad agire ‘da soli’, dia loro gli strumenti necessari perché siano in grado di procedere singolarmente o in piccoli gruppi, inquadri sinteticamente lo studio da effettuare e il cammino da percorrere, impartisca qualche generale linea operativa, detti agli allievi le regole necessarie per ‘muoversi’ nella ricerca che dovranno svolgere in modo indipendente, stabilisca obiettivi e risultati, indichi i tempi a disposizione, chiarisca (anche in modo vago) la meta finale a cui si dovrà giungere.
Inoltre sia sempre a disposizione per consigli, suggerimenti o aiuti, pronto, qualora richiesto, ad intervenire per superare eventuali ostacoli, punto di riferimento e di sicurezza per tutti e controlli dall’ “alto”, costantemente la situazione. Sia come un allenatore che, dopo aver svolto, negli spogliatoi, una ‘lezione frontale’ ai suoi giocatori (tattiche, schemi, accorgimenti), dopo averli incoraggiati e motivati, segua, con attenzione, la partita dalla panchina, non lesinando consigli o cambi strategici, durante la gara.
Paragone questo forse un po’ azzardato ma efficace per far capire la necessità della lezione frontale, anche personalizzata e rielaborata secondo le inclinazioni o preferenze di ogni docente e le necessità di ogni alunno.
Comunque sia, un momento di spiegazione del docente e di concentrato ascolto degli allievi è imprescindibile.
Poi si può anche innovare la didattica valorizzando (con cautela) la tecnologia, l’attività laboratoriale o, per chi lo desidera, altre tecniche e procedure educative.
Assai considerato, in questo periodo, è il lavoro in classe tra compagni, sotto l’occhio ‘silenzioso’ ma vigile del docente. Si chiama ‘peer tutoring’ (l’inglese ormai è una ‘maledizione’), ma invero non si tratta di una novità. Si usava anche i miei tempi (qualche secolo fa, in classe e a casa, quando si studiava insieme).
Allora, per favore, non seppelliamo la lezione frontale, è alla base dell’insegnamento (la stessa correzione dei compiti è, per certi aspetti, una lezione frontale).
Certo modifichiamola e adeguiamola ‘ai tempi’(si può eventualmente anche ‘spostare’, con accortezza e intelligenza, nel corso delle operazioni didattiche), senza cancellarne però la sua essenza, sarebbe controproducente per i ragazzi.
La lezione frontale (in forme diverse) ci sarà sempre. Il problema è un altro, Chi la farà? Uomini o androidi.
Non pensiamoci adesso, meglio non farlo, per il momento, per non cadere nella distopia.
Andrea Ceriani
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