Viviamo di compresenza, imparando sempre dalla lingua dei linguaggi, il latino per intenderci: e tra lo sfarzo di allora e lo sforzo di oggi il suo Verbo esiste, anzi resiste sempre, malgrado le sferzate dei suoi detrattori. Infatti, di tutte è la più triviale (da trivium) del mondo, perché sta all’incrocio, come comprensione, e del dialetto e dell’italiano corrente.
Anche Totò, nello sfoglio di un traballante latinorum, ne dà una sua singolare ricodificazione: “Audax fortuna juventus”; “ezia e andìo”; “Castigat ridendo mores: ridendo castigo i mori”; “Gattibus frettolosibus fecit gattini guerces”; “De gustibus non ad libitum sputazzellam”; “Non esageramus!”; “Vigliacchibus, mascalzonibus, farabuttibus!”; “Morsa tua vita mea”; “abbondandis adbondandum” oppure “Lupus in fabula? C’è un lupo nella fabbrica”.
In questa cosciente deformazione maccheronica ne legittima la vita e la vitalità: Modestamende, qualche lingua la parlo… da poliglotta delle memorie antiche, pur derubricandole a goliardia!
Insomma, un factotum del Lògos e dell’Agorà: un Principe, nel principato augusteo della risata. C’è da dire anche che i lazzi e i fescennini dei nostri antichissimi padri convivevano in lui con l’eredità dei saltimbanchi medievali, delle maschere cinquecentesche [A. Ghirelli, Una certa idea di Napoli. Storia e carattere di una città (e dei suoi abitanti), Milano, Mondadori, 2010].
Orbene, l’arte di un gigante partenopeo, come lui, chiede oggi la Pasqua linguistica in tempo di ogni Avvento natalizio: le resurrezione del Classico come avventura del futuro, la passione nell’incarnazione di tutti i tempi.
Si dice che dietro al sorriso di Totò ci sia anche la morte, come in Benigni, del resto: ma non possiamo cimiteriare nella sua Livella il mondo antico.
Un livello superiore lo salva, comunque, dalla cenere del tempo, quello dell’eros che fa di Amor la lettura bifronte di Roma, e non è un caso accidentale: se mai, in tutto ciò, un destino verbale con la destinazione eterna di una “Grande Bellezza”. Un filum narrativo che da contrappeso al film di Sorrentino: e pertanto, meritorio di un Oscar all’Umanità e all’unanimità!
Oggi, però, nel mondo delle app e delle multimedialità la lingua latina sembra (app)esa ad un filo: per essa cala persino un giudizio referendario nella scelta di un indirizzo di studi all’indomani dalla licenza delle scuole medie inferiori (Qui, se mai, è da invocare il Tapiro!). Un’irragionevole discriminazione che va a negare un buon setaccio dalla pula, ragion per cui si sragiona nella scrittura, senza andare, poi, nei casi più fortunati, oltre il dato sensibile. E nel ghigno di un divertito e divertente sorriso proprio Totò ci lascia questo vaticinio come spunto di riflessione: la lingua materna, quella che si mastica quotidianamente, quale possibilità di conoscenza ed intelligenza potrà mai avere, svuotata della profondità storica dei suoi significati che le giungono dall’Antico?
La tradizione, oltre ad essere una fisiologica eredità, è anche la riconquista consapevole del buono su cui hanno investito i nostri Penati (ora in pena); e va coscientemente studiata e a fatica assunta, perché paterna e materna, cioè familiare. Senza di essa, ed in agguato, l’effetto domino di un’Apocalisse della comunicazione.
O un racconto genesiaco della Torre di Babele dentro il proprio parlato. Ed eccone un momento esilarante in un dialogo cult di ironia intelligente, per drammatizzarlo, sì, per drammatizzarlo nel quotidiano, però!
Altrettante copie, di ordinaria e straordinaria rappresentazione, si ritrovano in tante classi di numerose realtà scolastiche, che non sono mimetiche di quel magistrale Copione, assolutamente! Si pro-getta una bulimia di lavori per sponsorizzare la Scuola migliore e si getta alle ortiche la vera attenzione per cui vale la pena essere ancora maestri, aggiungo io! See you soon, al risveglio dal sonno, per le reali cose da fare. Luna abscondita tonight, sed pulcherrima semper, semper (S. Cesari, Con molta cura, Pd 2017, pag. 212): al chiaror della sera (meglio tardi che mai), in nome delle nostre identità, c’è ancora tempo per le cose più necessarie, malgrado questi chiari di luna!
Carta, calamaio e penna
Dal film: “Toto’ Peppino e la malafemmina”
TOTO’ – Giovanotto! Carta, calamaio e penna! Su, avanti, scriviamo…
TOTO’ – Dunque, hal scritto?
PEPPINO – Un momento, no?
TOTO’ – E comincia, su!
PEPPINO – Carta, calamaio e penna…
TOTO’ – “Signorina!”…
TOTO’ – “Signorina!”…
PEPPINO – Dove sta?
TOTO’ – Chi?
PEPPINO – La signorina.
TOTO’ – Quale signorina?
PEPPINO – Hai detto: “Signorina!”…
TOTO’ – È entrata una signorina?
PEPPINO – Avanti!
TOTO’ – Animale! “Signorina”, è l’intestazione autonoma della lettera! Oooh! “Signorina!”…
TOTO’ – Come, non era buona quella “signorina” lì?
TOTO’ – “Signorina… veniamo… noi… con questa mia a dirvi…”
PEPPINO – “…con questa…”
TOTO’ – “Veníamo noi con questa mia a dirvi…”
PEPPINO – “… a dirvi…”
TOTO’ – “Addirvi”. Una parola: “addirvi”…
PEPPINO – “… addirvi una parola…”
TOTO’ – “… che…”
PEPPINO – “… che…”
TOTO’ – “… che…”
PEPPINO – “… che…”
TOTO’ – “… che…”
PEPPINO – Uno? Quanti?
TOTO’ – Che?
PEPPINO – Uno “che”?
TOTO’ – Uno “che”! Che?
PEPPINO – “… che…”
TOTO’ – “… scusate se sono poche…”
PEPPINO – “… che…”
TOTO “… che… scusate se sono poche, ma settecento milalire… punto e virgola… noi… noi ci fanno, specie che questanno…”. Una parola: “questanno”. “… C’è stato una grande morìa delle vacche, come voi ben sapete”… Punto.
PEPPINO – Punto?
TOTO’ – Due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo! Abbondandis in abbondandum! Questa moneta servono… questa moneta servono… questa moneta servono a che voi vi consolate…”. Oh, scrivi presto!
PEPPINO – “… con l’insalata…”
TOTO’ – “… che voi vi consolate…”
PEPPINO – Ah, “vi consolate”! Avevo capito: “con l’insalata”…
TOTO’ – “Voi vi consolate”… Non mi far perdere il filo, che ce l’ho tutta qui…
PEPPINO – Avevo capito “con l’insalata”…
TOTO’ – “… dai dispiacere… dai dispiacere che avreta… che avreta… A-vre-ta”. Eh già, è femmina: femminile. “Che avreta perché…”
PEPPINO – “Perché…”
TOTO’ – Perché?
PEPPINO – Non so.
TOTO’ – Perché “non so”?
PEPPINO – Perché che cosa?
TOTO’ – Perché che?
PEPPINO – Perché?
TOTO’ – “Perché!”
PEPPINO – Ah! “Perché”, qua…
TOTO’ – “Dispiacere che avreta perché”: è aggettivo qualificativo, no?
PEPPINO – Io scrivo.
TOTO’ – “…perché dovete lasciare nostro nipote, che gli zii, che siamo noi medesimo di persona…”
TOTO’ – Ma che, stai facendo una faticata? S’asciuga il sudore! “…che siamo noi medesimo di persona, vi mandano questo…”.
PEPPINO – “… questo…”
TOTO’ – “… perché il giovanotto è studente che studia, che si deve prendere una Laura…”
PEPPINO – “… Laura…”
TOTO’ – “… Laura… che deve tenere la testa al solito posto, cioè…”
PEPPINO – “… cioè…”
TOTO’ – “… sul collo”. Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola…
PEPPINO – Troppa roba.
TOTO’ – E lascia fare. Che dica che noi siamo provinciali, che siamo tirati?
PEPPINO – Ma è troppo!
TOTO’ – “salutandovi indistintamente… salutandovi indistintamente…” Sbrigati! “Salutandovi indistintamente, i fratelli Caponi, che siamo noi”. Apri una parente. Apri una parente e dici: “che siamo noi, i fratelli Caponi”.
PEPPINO – “… cafoni…”
TOTO’ – Hai aperto la parente? Chiudila.
PEPPINO – Ecco fatto.
TOTO’ – Vuoi aggiungere qualcosa?
PEPPINO – Ma “senza nulla pretendere” non c’è più?
TOTO’ – No, basta “in data odierna”. Si capisce. Svelto, dai! Chiudi! Andiamo, presto!
Francesco Polopoli
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