Entro una decina d’anni l’esubero del personale docente diventerà una prassi perché si farà fortemente sentire il fattore denatalità.
Infatti, secondo alcuni calcoli, la popolazione studentesca si assottiglierà di molto e ci sarà una diminuzione di settecentomila alunni in meno nelle aule. Meno alunni significa meno posti per i docenti che saranno costretti a cambiare sede a causa della perdita della titolarità.
Un fenomeno questo, già parzialmente visibile da alcuni anni che, purtroppo, nel prossimo futuro si accentuerà sempre più diventando, di fatto, la regola. Stiamo assistendo ad un progressivo svuotamento delle aule legato alla mancanza delle iscrizioni, fenomeno che col passare del tempo diventerà sempre più serio.
A ciò è legata la questione della diminuzione delle cattedre che si ripercuote sulla stipula dei contratti del personale precario che resterà senza lavoro. Tuttavia il problema della denatalità è particolarmente avvertito al Sud, dove le culle sono sempre più vuote, mentre al Nord vi è una situazione di controtendenza. La precarietà, quindi, si sposa con la denatalità, fenomeno che la perdurante crisi economica ha notevolmente acuito.
Sarebbe il caso che il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca riflettesse bene su queste tematiche prima di mettere in moto la complessa e farraginosa macchina della mobilità.
In primis occorre intervenire sui criteri di formazione delle classi relativamente al numero di alunni da assegnare. Bisogna evitare le classi pollaio che sono un espediente antididattico e antieducativo e lavorare sulla diminuzione del numero degli alunni, anche in presenza del disabile.
Per ottenere un proficuo lavoro e risultati ottimali le classi non devono essere formate da più di 15 alunni. Una classe formata da non più di 15 alunni permette all’insegnante di ottenere un apprendimento cooperativo e soprattutto venire incontro alle richieste avanzate nella lettera dei 600 docenti universitari sulle carenze delle competenze di base in lingua italiana, che hanno lamentato un drammatico impoverimento linguistico.
Un docente con una classe di 15 alunni può proficuamente gestire le carenze degli allievi e lavorare per l’innalzamento delle competenze, cosa che non potrebbe fare se avesse davanti una classe pollaio.
Inoltre la diminuzione degli alunni per classe permetterebbe di fronteggiare al meglio il problema della denatalità perché si andrebbero a costituire più classi e i docenti non entrerebbero in esubero e, quindi, l’organico dell’autonomia delle istituzioni scolastiche sarebbe salvo. In più si permetterebbe ai precari di aspirare alle supplenze temporanee.
Il Miur, puntando all’abbassamento del numero degli alunni, da un lato migliorerebbe di molto l’azione didattica dei docenti che avranno la possibilità di lavorare sull’elevamento delle competenze degli allievi, dando l’opportunità di raggiungere standard e performance qualitativi migliori, dall’altra darebbe la possibilità a molti giovani insegnanti di fare esperienza dietro la cattedra.
Il Miur deve, in poche parole, ragionare non più in termini ragionieristici, bensì in termini di risultati attesi.
Mario Bocola