Si stanno svolgendo in questi giorni presso gli Uffici Scolastici Regionali le immissioni in ruolo del personale docente delle scuole di ogni ordine e grado decise dal Governo e non mancano le sorprese di un costume tipicamente italiano, o per meglio intenderci meridionale perché i due casi emblematici fanno parte proprio del Sud Italia.
L’allusione riguarda due immissioni in ruolo anagraficamente l’una opposta all’altra, ossia il contratto a tempo indeterminato del docente più giovane d’Italia e del docente più anziano d’Italia. La partita si è giocata tra la Campania e la Sicilia.
Il docente più giovane immesso in ruolo è Aldo Botta di origini salernitane di 22 anni, insegnante di strumento musicale, che ha firmato il contratto a tempo indeterminato presso l’Istituto Superiore “Galizia” di Nocera Inferiore, dove insegnerà Clarinetto.
Mentre di origini siciliane è la docente più “anziana” d’Italia, Bernarda di Miceli, che ha firmato il contratto a tempo indeterminato presso la Scuola Primaria dell’Istituto “Pio La Torre” di Palermo.
La docente ha, infatti, 69 anni di età e fra qualche anno dovrebbe addirittura essere collocata a riposo per raggiunti limiti di età perché la legge prevede che non si può permanere in servizio oltre i 70 anni.
Una bella sorpresa per la maestra che sarà una “dolce nonna” per i suoi piccoli alunni e sicuramente li amerà come se fossero suoi nipotini.
Due casi emblematici, dunque, e nello stesso tempo paradossali di un’Italia che soffre di una dilagante disoccupazione giovanile.
Da un lato una speranza giovane e carica di tanta energia che può dare lustro alla scuola italiana che necessita come il pane di giovani promesse che sappiano trasmettere e infondere negli studenti quella passione e quell’ardore di farli appassionare alle discipline.
Dall’altra una maestra, carica di tanta esperienza che può essere di sprone e di preziosi consigli alle giovani insegnanti alle prime armi con l’insegnamento.
Sono questi i paradossi della scuola italiana, che gioisce per essere entrato in ruolo giovanissimo in un tempo di grave crisi occupazionale e chi gioisce per avercela finalmente fatta dopo lunghi anni di precariato alle spalle con frequenti cambi di sede.
Due storie che devono far riflettere molto la politica italiana, intenta a pensare ad altro anziché alla risoluzione dei veri problemi della gente, quella politica che guarda dall’alto dei palazzi, ma che, invece, dovrebbe toccare con mano la carne viva della gente e rendersi conto quante difficoltà hanno oggi i docenti precari ed anche quelli a tempo indeterminato con famiglie e figli da accudire che la legge della “Buona Scuola” ha sballottato su e giù per l’Italia spaccando, di fatto, il nido familiare.
Sono queste le questioni sulle quali deve interrogarsi la scuola italiana spesso attanagliata da una miriade di leggi e leggine e da una burocrazia asfissiante che le rendono la vita difficile e la fanno apparire come un “cane che si morde la coda” senza mai arrivare a capo dei veri, reali, lapalissiani e atavici problemi.
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