Spiega il Sole 24 Ore che il totale dei 24 mila esuberi sono solo una prima stima “poiché la riduzione del 20% dei dirigenti e del 10% del resto del personale andrà fatta sulle nuove piante organiche da emanare entro il 31 ottobre,e il documento quantifica in 11mila i «soprannumerari per i ministeri e gli enti pubblici non economici» (di cui 5.600 nei ministeri). A questi vanno aggiunti i 13mila censiti negli enti territoriali (tranne le Regioni), dove però bisognerà attendere il Dpcm con i criteri per le uscite.
Il Sole 24Ore precisa inoltre che “degli 11mila in odore di taglio nelle Pa centrali sono circa 6mila soggetti in possesso dei requisiti per il pensionamento al 31 dicembre 2011 a fronte di altri 2mila che vantano le stesse condizioni in quelle locali. Per i 16mila restanti potrà essere attivato il meccanismo di mobilità con accompagnamento al pensionamento previsto nell’articolo 2 del decreto spending. Passando agli effetti finanziari la relazione precisa che la maggiore spesa previdenziale determinata dalle uscite anticipate sarà compensata con il minor esborso di redditi da lavoro dipendente. Un costo lo avrà invece il Tfr da erogare nei casi appena descritti. Per ottenere risparmi dalla sforbiciata sul personale, l’Esecutivo dovrà aspettare il 2014 quando tratterrà in cassa 138 milioni che diventano 114 al netto degli effetti fiscali. Nel 2013 invece la posta per lo Stato sarà negativa con 208 milioni di esborso aggiuntivo lordo (172 al netto del fisco).“
Si profila dunque una possibilità per i dipendenti pubblici di uscire anticipatamente, ma nessun accenno viene fatto per il personale della scuola che sicuramente non rientrerà fra costoro, nonostante circa tre mila possano raggiungere i requisiti richiesti al 31 agosto del 2012, visto fra l’altro che il ciclo di ogni beneficio per i lavoratori della conoscenza non segue le fasi solari, ma quelli della scuola che, come è noto, ha una sola finestra di uscita, quella appunto del primo settembre, modulata con gli scrutini finali degli alunni.
Ora il ragionamento è moto semplice. Se il Governo ha l’intenzione di mandare in prepensionamento anche coloro nella p.a. che sono alla soglia dei diritti acquisiti al 31/12/2011, perché non consentirlo pure a chi già possiede quei requisiti, come appunto lo possiede lo sparuto drappello di appena 3000 dipendenti tra il personale scolastico?
Sicuramente non siamo ai grandi numeri, ma questa uscita, non già anticipata ma coerente col buon senso non contemplato dalla legge Fornero, consentirebbe non solo una più facile collocazione di quel personale docente e no in esubero, su cui sta insistendo la spending review, ma anche di piazzare, ci si passi il termine, magari qualche centinaio di precari in attesa dietro l’uscio della stabilizzazione da anni.
Sono di quelle scelte dettate, oltre che dal buon senso, anche da una visione più ampia delle difficoltà del nostro paese che non si salva spendendo qualcosa in più per chi ha “Quota 96” al 31 agosto, ma nemmeno affossa se promuove lavoro stabile per un pugno, seppure piccolo, di precari, anzi.
Inoltre si eviterebbe, per quanto è possibile, a tanti docenti, come i sovranumerari, di insegnare magari materie affini alla loro specializzazione, ma che nulla hanno di affinità con la loro abilitazione originaria e spedendoli in ogni dove rispetto alla loro sede originaria.
Non si capisce dunque se la deroga al prepensionamento, di cui parla Il Sole 24 Ore, non sia derogabile per il personale della scuola per un principio “politico” del Governo, e in modo particolare della ministra Fornero, o per un fatto di pura opportunità economica e finanziaria. In entrambi i casi appare evidente una disparità di trattamento che si mette in linea con quanto si è sostenuto, da qualche decennio a questa parte, contro i professori e contro pure la pubblica amministrazione che,occorre ricordarlo, non è affatto più numerosa di quella degli altri paesi europei.
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