Con la guerra alle porte, coi prezzi in rapido aumento, i lavoratori dipendenti italiani — e soprattutto i lavoratori della Scuola, impoveriti da decenni di scelte politiche sfavorevoli — stanno toccando con mano cosa vuol dire avere che fare col “libero” mercato senza nessuna copertura legislativa che tuteli il potere d’acquisto dei salari. Una copertura che perdemmo 30 anni fa: si chiamava “scala mobile”. Era un meccanismo automatico che aumentava gli stipendi al crescere dei prezzi di alcune merci, compensando la perdita del potere d’acquisto dei salari causata dall’inflazione. Il calcolo della rivalutazione dei salari si basava su un indice dei prezzi al consumo.
Questo meccanismo (attivo dal 1945 e potenziato dal 1975) aveva effetti benefici per tutto il sistema, perché, mantenendo costante il potere d’acquisto dei salariati — la massima parte della popolazione — teneva alti i consumi, permettendo alle industrie di continuare a vendere le proprie merci. Ai lati positivi faceva da contraltare la spirale inflativa: infatti, pur aumentando i prezzi, la domanda non diminuiva (a causa del contemporaneo crescere dei salari); di conseguenza anche i prezzi continuavano ad aumentare, causando ulteriori aumenti salariali e la perdita di valore della nostra moneta (che all’epoca era la lira): fatto che, comunque, aumentava le nostre esportazioni. Tanto che, nel 1991, l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del pianeta, dopo Stati Uniti, Giappone e Germania.
Certo è che la scala mobile permetteva una redistribuzione della ricchezza. Dopo la sua abolizione, infatti, è aumentata la forbice tra i salari dei lavoratori e la ricchezza delle imprese. Tuttavia alcuni economisti criticavano il meccanismo, accusandolo di far crescere il costo del lavoro più della ricchezza nazionale e della produttività delle imprese, diminuendone i profitti. Sulla scia di queste critiche, il 14 febbraio 1984 il “decreto di San Valentino” (governo Craxi I) — convertito poi nella legge 219 del 12 giugno 1984 — abolì 3 punti percentuali della scala mobile. Il provvedimento fu sottoposto referendum abrogativo il 9 e 10 giugno 1985. A sostenere il referendum per tutelare la scala mobile era stato solo il PCI (di cui era Segretario generale Enrico Berlinguer). Non tutta la CGIL aveva affiancato in questa battaglia Berlinguer, morto esattamente un anno prima del referendum, l’11 giugno 1984; e, dopo la sua morte, anche il gruppo dirigente del PCI si mostrò poco convinto. Tanto da perdere il referendum. Il taglio della contingenza — somma pagata nello stipendio se aumentava il costo della vita — venne confermato.
Le classi dirigenti italiane, visti il momento favorevole e il disorientamento dell’opinione pubblica, silurarono definitivamente la scala mobile il 31 luglio 1992, quando Governo Amato I e sindacati confederali siglarono un protocollo triangolare di intesa che abolì l’indennità di contingenza. L’aumento salariale indicizzato (che automaticamente aveva fino ad allora compensato la perdita del potere d’acquisto dei salari) fu sostituito per tutti i lavoratori dipendenti (tranne i dirigenti) dall’elemento distinto della retribuzione: € 10,33 al mese per sempre (indennità di contingenza maturata fino al 1° gennaio 1992, inglobata nel minimo contrattuale)!
Che la scala mobile nuocesse all’economia è un teorema di alcune scuole economiche. Ma l’economia non è una scienza esatta, bensì un insieme di teorie e di modelli analitico-interpretativi: somiglia dunque più all’ideologia che alla scienza. Infatti un modello interpretativo può mettere in risalto solo aspetti della realtà, ma non la realtà nella sua interezza e complessità. Lo dimostra il fatto che l’economia mondiale ha funzionato egregiamente dal 1945 agli anni ’70 sulla base di modelli rooseveltiani e keynesiani; mentre dagli anni ‘80 in poi il modello di riferimento è diventato quello ultraliberista che ci ha portati alla situazione attuale: concentrazione della ricchezza globale nelle mani di un centinaio di miliardari, esponenziale aumento di esseri umani in miseria, immani ingiustizie sociali in tutto il pianeta, catastrofe climatica, guerre ovunque. Eppure il neoliberismo è l’unico credo economico, dominante in tutte le università del mondo.
I docenti italiani (quasi tutti laureati) dovrebbero esser consapevoli di cosa li aspetta senza una scala mobile che li protegga dal carovita, tra una guerra europea che aspira a trasformarsi in mondiale, le speculazioni sui combustibili fossili, l’inflazione che sta per riesplodere, il ruolo marginale cui le politiche recenti hanno relegato i docenti stessi. Già ora la loro retribuzione è la più bassa d’Europa, e non saranno certo i futuri contratti — firmati (anni dopo la scadenza) dai sindacati “maggiormente rappresentativi” — a restituirle consistenza e dignità.
D’altronde, persino Barack Obama, allora presidente USA, il 28 gennaio 2014 propose una sorta di scala mobile per i lavoratori statunitensi. E, se fa questo persino un presidente americano (nume tutelare del capitalismo), ciò significa che difendere i salari eviterebbe anche al capitalismo problemi ben più gravi della perdita di una minima parte dei profitti.
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