“Sei su cento dei lavoratori con laurea sono insegnanti e molti di loro non avevano in mente l’insegnamento come esito di carriera, al momento della scelta del corso di studi universitario”. Lo rivela il saggio Nostra scuola quotidiana, di Gianluca Argentin, docente di Teorie sociologiche e mutamento sociale all’Università degli studi di Milano-Bicocca, che è stato anche nostro ospite nella diretta del 5 ottobre scorso (CLICCA SUL VIDEO sottostante per ascoltare il suo intervento).
Nel contesto nazionale, cioè, caratterizzato da una forza lavoro con titoli di istruzione piuttosto bassi, il mondo della scuola alza la media, producendo uno sbocco occupazionale importante per una parte consistente di studenti universitari; e dunque anche uno strumento definito di “contrasto alla disoccupazione intellettuale,” come da espressione di Argentin.
La tesi del volume, nel paragrafo dedicato all’argomento, è relativa al fatto che la scuola è una macchina organizzativa molto complessa con numeri che fanno della scuola una parte di mercato del lavoro molto consistente, nella quale operano oltre 900mila insegnanti (secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, fonte il portale unico dei dati della scuola aggiornato al 2020) ai quali si aggiungono altri 220mila occupati, tra dirigenti scolastici (circa 8mila) e personale Ata, per non parlare degli educatori e del resto del personale assunto dalle cooperative e in generale dal terzo settore.
E che dire del mercato indotto? Quello relativo cioè ai libri di testo, agli arredi scolastici, al settore del digitale, ai trasporti, tutte considerazioni dalle quali partire per comprendere quanto sia rilevante, il mondo della scuola, anche sul fronte economico, e quanto sia complessa la sua macchina organizzativa sul fronte dagli edifici, alla presenza degli studenti al coinvolgimento dei genitori, al personale che nella scuola opera.
Ora fronte di tutto questo, quale cambiamento si rende necessario per rendere questa macchina organizzativa più efficiente? Il ministro più volte ha parlato di riforma del reclutamento, intendendo, a quanto sembra, volere andare nella direzione di lauree che alla conoscenza della disciplina affianchino materie relative alla didattica di quella stessa disciplina. “Nei nostri corsi di laurea non c’è un percorso specifico su come si insegna la disciplina: non l’italiano ma come si insegna l’italiano, non la fisica ma come si insegna la fisica”. Così il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi alla Camera per riferire sullo stato di attuazione del Pnrr.
Ma la riforma della scuola non potrà fermarsi al reclutamento. E mentre il ministro come un mantra parla di scuola al centro del Paese, alcuni segnali ci dicono che a dettare l’agenda scolastica nei prossimo anni saranno sempre più spesso gli studenti.
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