Caro collega. Un nuovo percorso scolastico sta per iniziare. Speranze, aspettative, un bell’ evento che da tempo si attendeva si è verificato, una delusione inaspettata o che da tempo è stata procrastinata, purtroppo, si è avverata. Si va avanti come il solito, come sempre.
Contrariamente a quanto comunemente si crede “docere” non significa solo trasmissione di conoscenze, competenze e capacità ma imprimere nella mente del discente un modo di approccio alla realtà che va ben oltre allo studio.
Non è facile, questo lo riconosco, poiché occorre considerare diverse variabili che condizionano lo svolgimento di questa che da attività lavorativa, meglio missione, molto impegnativa. Molto spesso, infatti, si sente dire: “Ma chi me lo fa fare”? Eppure se ti trovi coinvolto un motivo ci sarà pure. No?
Si tende ad attribuire, nel rapporto docente – discente, la difficoltà di operare in aula all’ambiente esterno alla scuola. Questo è pur vero in molti casi, ma perché non porsi qualche domanda.
“Che sia, forse, perché è un periodo non tanto favorevole? Stanchezza? O altro? Allora se così fosse, e , in assenza di validi motivi, che consentano un po’ di “riposo”, occorre mettere “il mio io personale” in secondo ordine, avendo come obiettivo primario la formazione culturale – educativa dell’alunno compreso quello indisciplinato o problematico. Sacrosanti i diritti, altrettanto importanti i doveri!
“Che siano, forse, le condizioni operative che non permettono una continuità didattica”? Pure questo succede ma ciò non esime dal dimenticare che l’azione educativa e didattica possa lasciare delle conseguenze indelebilmente favorevoli o meno. Al sottoscritto, per esempio, è successo che a sessant’anni compiuti è diventato soprannumerario nella graduatoria interna d’istituto e ha dovuto concludere la carriera scolastica a 120 km da casa. Una bella batosta senz’altro! Superata anteponendo l’interesse degli alunni unitamente ad uno spirito di obbedienza verso i superiori.
Nel momento di congedarmi, non senza difficoltà dato il lungo periodo trascorso tra i banchi, gli alunni ed anche i colleghi mi hanno fatto un “presente”, pur semplice, ma di enorme valore affettivo.
“Che sia la temporanea lontananza dagli affetti familiari”? Potrebbe essere. E’ difficile da accettare. Ma allora perché non cogliere l’occasione di nuove opportunità che un domani potrebbero essermi utili?
Che sia la gratificazione economica? E’sotto gli occhi di tutti che gli insegnanti italiani non hanno stipendi che compensino adeguatamente una professione che non ha orari, e carichi di responsabilità molto elevati. Ma bisogna proseguire, gli alunni non possono non costituire il centro della tua attenzione.
Sacrificio, amarezza, umiliazione, spesso senso di solitudine sono conseguenza di una scelta spesso imposta per il proprio bene e soprattutto altrui, ma non mancano anche grandi soddisfazioni.
Alla fine, dopo tanto tempo, incontri un ex – studente che ti dice: “Buongiorno. Si ricorda ancora di me?” e tu ormai avanti con l’età dici: “Sì, eri piuttosto discolo a quei tempi. E adesso cosa fai nella vita?” e lui: “Sono anch’io professore e la ringrazio per tutte le volte che mi ha sgridato o rimproverato. Mi sono servite”.
Ricordiamoci, ricorrendo ad una lingua non piu’ utilizzata ma alquanto importante: “Dabit fructum in tempore”. Buon anno scolastico.
Giovanni Todeschini
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