Il mercato del lavoro, per via dei flussi di capitale, viluppo, progresso tecnico-scientifico, richiede una mole di nuove competenze e relative figure professionale che la scuola pubblica non riesce a formare adeguatamente. La carenza di laboratori multimediali e digitali professionalizzanti, di percorsi tecnici funzionali all’inserimento lavorativo e gli scarsi investimenti su una didattica alternativa di fatto non favoriscono un dibattito ontologico significativo in seno alla scuola circa il relativo ruolo nel mercato del lavoro.
Oltre ad una disoccupazione giovanile dilagante nel Vecchio Continente, la quale raggiunge, nei paesi con basso Indice di Sviluppo Umano, un tasso del 50% tra i giovani dai 18 e i 26 anni, figura l’annoso problema dei NEETs, ovvero quei giovani che non possiedono un impiego, non lo cercano e non seguono alcun corso di formazione professionale. In alcune aree questi – in particolare Italia, Romania, Bulgaria, Grecia e Malta – raggiungono quote elevatissime rispetto alla popolazione attiva (25 – 30 %) innescando così effetti assai negativi sui tassi di dipendenza tra popolazione attiva e non attiva, favorendo una vasta gamma di crisi sia del sistema di sovvenzioni che pensionistico.
Le moderne tesi in seno alla discussione ed al dibattito di studenti e giovani lavoratori indicano che i fini delle strutture di governances devono essere integrate da un chiaro obiettivo generale: l’idea del lavoratore come cittadino con pieni diritti. Dal punto di vista di un giovane studente giovane, ciò implica principalmente non solo essere istruiti o formati per le richieste a breve termine del mercato del lavoro, ma godere di un’occupabilità sostenibile nel corso della vita. Tale sovranità professionale non solo consente alle persone di guadagnarsi da vivere dignitosamente, ma è il prerequisito per navigare verso le transizioni digitale e verde, come sostengono le istituzioni europee. Eppure a molti giovani in Europa viene negato questo diritto alla sovranità professionale.
Nel 2021, il 13,1 per cento dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni nell’Unione europea (UE-27) non frequentava corsi di istruzione, lavoro o formazione (i cosiddetti NEET); le giovani donne (14,5 per cento) sono più colpite dei giovani uomini (11,8 per cento) e le persone poco qualificate (15,5 per cento) sono trascurate dai sistemi di formazione. Le differenze tra paesi sono notevoli: in Grecia e in Italia, più di un quarto anche dei giovani altamente qualificati sono “NEET”. Entro il 2030, l’UE vuole ridurre il tasso di NEET a non più del 9% in media.
A livello europeo, tre iniziative stanno influenzando le transizioni nazionali dalla scuola al lavoro: il Quadro europeo delle qualifiche, l’Alleanza europea per gli apprendisti (compreso il programma Erasmus) e la Garanzia europea per i giovani. Si possono certamente identificare successi parziali, ma sono evidenti carenze importanti. Soprattutto, vi è una mancanza di capacità amministrativa e talvolta finanziaria per l’attuazione degli stessi programmi, specie in Italia.
Nel Belpaese, secondo gli osservatori europei, figurano dei problemi nella configurazione reale di un mercato del lavoro (definito come spazio relazionale e di competenze tra domanda ed offerta di prestazioni professionali), di pagamento e remunerazione rispetto agli standard europei (gli stipendi in Italia sono cresciuti di un solo punto percentuale negli ultimi 20 anni), ed un welfare contrattuale assente. La carenza degli STEM, studenti con formazione professionale tecnico-scientifica, ha quasi paralizzato il settore industriale: cresce la domanda di profili tecnico-scientifici in Europa ma i laureati in discipline STEM sono solo il 26% in paesi come Italia, Spagna, Malta, Grecia, Regno Unito, Francia e Germania. Una percentuale che scende al 24,5% in Italia in base al genere. Solo il 15 % delle studentesse ha intrapreso questo genere di studi.
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