Categorie: Personale

Trasferimenti, la Fondazione Agnelli sfata certi luoghi comuni sui prof del Sud

Ma chi l’ha detto che i docenti del Sud prendono il ruolo al Nord e “scappano” il prima possibile per tornare lavorare in una sede scolastica il più possibile vicino casa? E chi l’ha detto che la grande mobilità di insegnanti della scuola italiana è principalmente da addebitare al tourbillon di cattedre che ogni anno vengono assegnate ai precari? E chi l’ha detto che le richieste di mobilità sono in prevalenza interprovinciali? Sembra fatto apposta per sfatare queste errate convinzioni sui trasferimenti dei docenti italiani un recente studio realizzato dalla Fondazione Giovanni Agnelli e presentanto a Milano il 9 ottobre.
I numeri sembrano ribaltare totalmente tanti luoghi comuni. In cui sono spesso caduti anche tanti addetti ai lavori ed esperti del comparto scuola. Ad iniziare da quello che vorrebbe gli istituti scolastici del Settentrione terra di conquista dei “disperati” aspiranti prof del Sud: invece lo studio ci ha detto che su 72.000 trasferimenti di insegnanti di ruolo, appena 691, meno dell’1%, hanno riguardato spostamenti effettivi dall’Italia del Nord a quella del Mezzogiorno. Ed in assoluto c’è anche da dire che gli spostamenti di scuola di titolarità degli insegnanti vanno a coinvolgere nel 95% dei casi del personale che rimane nell’ambito della stessa regione.
Una tendenza, quella del docente che dopo aver  preso il ruolo si appresta con una certa ansia a tornare nella terra d’origine, che alla resa dei conti risulta davvero scarsa. Non solo: secondo gli esperti è destinata a mantenersi negli anni. Perché al Sud, dopo decenni di segno opposto, quest’anno si contano rispetto al 2008/2009 ben 52.000 alunni e studenti in meno.
La ricerca ha infine svelato che il trasferimento dal Sud al Nord per trovare il posto fisso da insegnante rimane più un sogno nel cassetto, un’aspettativa personale, che una realtà: basta dire che lo scorso anno il totale dei docenti nativi dell’Italia Meridionale operanti di fatto sulle cattedre del Nord era inferiore ad uno ogni cinque (19,8% ). Mentre ben altri numeri, più elevati, riguardano gli aspiranti a questo passaggio ed inclusi nelle graduatorie (ad esaurimento e d’Istituto di località sopra Firenze). Due esempi pratici: in Lombardia ed in Emilia Romagna le liste di attesa dei docenti sono rispettivamente rappresentate dal 44,4% e 42,5% da docenti precari di origini del Sud.
Anche a livello complessivo ci sono dei dati che faranno discutere: in assoluto cambia cattedra, quasi sempre per propria volontà, un docente ogni quattro. Degli 852.000 insegnanti, di ruolo e precari su posti vacanti, che lo scorso anno erano in servizio, quest’anno in 209.000 hanno cambiato sede scolastica rispetto all’anno precedente. Di questi solo 66.000 erano precari. E ciò significa almeno tre cose: la prima è che quasi la metà del personale non di ruolo tende a confermare la sede scolastica dell’anno passato (un elemento che nella poca stabilità lavorativa, acuita dai recenti forti tagli agli organici decisi dal Governo, può considerarsi decisamente a favore dei già sfortunati lavoratori); la seconda è che d’ora in poi non si potrà più scaricare sui precari le responsabilità dei troppi trasferimenti che ogni anno si verificano nella scuola italiana; la terza è che la maggior parte degli aspiranti insegnanti meridionali solo una piccola parte riesce a centrare l’obiettivo di essere assunto a titolo definitivo al Nord. A meno che molti decidano di rimanervi per tutta la vita, anche perché il ritorno a casa può essere più complesso di quello affrontato per firmare il contratto a tempo indeterminato.
La stessa Fondazione Agnelli, nel cercare di comprendere le cause dei movimenti dei prof dà un’interpretazione che non ha nulla a che vedere con località e precarietà del lavoro: le lega principalmente ad un sistema scolastico che poggia su regolamenti “burocratici, rigidi, ma soprattutto privi per l’insegnante di qualsiasi incentivo – di carriera o retributivo – a rimanere in una scuola in cui ha lavorato bene. In una parola, superati”. Ma evidentemente senza colpo ferire se sono ancora lì pronti, ogni anno, per essere messi in atto.
Alessandro Giuliani

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