Può essere la copertura di tutti i posti di sostegno in deroga, circa 30mila in tutta Italia, a salvare i docenti del Sud dal trasferimento nelle regioni del Nord?
Il precedente, adottato nelle grandi Isole ed in alcune altre regioni, attraverso l’assegnazione provvisioria ha innescato la richiesta di medesimo trattamento da parte dei decenti delle altre regioni: “riteniamo inaccettabile la difformità riscontrata nella stipula dei contratti decentrati regionali concordati dai vari USR e le OOSS in merito alla deroga utile per consentire ai docenti – che abbiamo chiesto e non ottenuto assegnazione provvisoria- di poter rientrare nella propria provincia di residenza mediante utilizzo su posti di sostegno compresi in organico di fatto, anche senza titoli”, ha scritto il Coordinamento Nazionale Docenti Fase C.
“Sicilia, Sardegna, Lombardia ed Emilia Romagna hanno già agito in questa direzione trovando una soluzione che riteniamo utile e vantaggiosa e che occorre venga adottata da tutte le amministrazioni sul territorio nazionale, dando la possibilità in modo analogo ai docenti di godere delle stesse opportunità. Attendiamo pertanto un tempestivo intervento centrale tale da consentire una gestione uniforme delle assegnazioni provvisorie”, conclude il Coordinamento.
Il problema è che il 99 per cento dei docenti destinati agli ambiti territoriali del Nord, circa 8mila complessivi, non hanno conoscenze approfondite di disabilità. Né, tantomeno, sono specializzati nell’insegnamento ad alunni con problemi di apprendimento.
Il “particolare”, non certo trascurabile, è stato fatto presente anche dai sindacati regionali della Sardegna Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda. I quali dopo aver sottolineato che questo tipo di contratto integrativo regionale “permette, a coloro che hanno avuto un’assegnazione della sede di servizio eccessivamente lontano dal proprio domicilio, di essere utilizzati in una sede meno disagiata”, attenuando “i disagi provocati da una Legge che le Organizzazioni Sindacali hanno duramente contestato”, si soffermano sul dato che questa decisione “solleva un problema la cui soluzione si impone con forza”: la mancanza di competenze di questi insegnanti sul fronte della disabilità.
Però, è anche vero che la maggior parte di quei posti andrebbero, comunque, a docenti privi di specializzazione sul sostegno. Solo che si tratterebbe di precari. E in molti casi anche loro non specializzati. Allora, tanto vale, dicono i sindacati, metterli a disposizione di chi deve subire il trasferimento forzato.
Il punto è che mancano docenti formati sul sostegno: “l’Università sarda – scrivono i sindacati – da due anni non li organizza e, conseguentemente, quindi, aumentano le difficoltà per cui i docenti titolati sono insufficienti a coprire i posti in organico”, fanno notare ancora i sindacati dell’Isola. Che ora chiedono “con decisione sia all’Università che alla Regione perché questo gap nei confronti delle altre regioni venga superato al più presto e che vengano attivati al più presto i corsi di formazione”.
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Specializzati o no, qui si sta facendo un “uso strumentale del sostegno”, ribattono i Coordinamenti Docenti Specializzati di Sostegno, di ruolo e non.
I quali, a loro volta, chiedono invece il “ritiro immediato del procedimento di conferimento delle assegnazioni provvisorie su posti di sostegno e revoca della proposta di percorsi abilitanti speciali sul sostegno per il personale docente già di ruolo”
Per i coordinamenti, l’accordo sottoscritto in alcune regioni, ad iniziare dalla Sardegna, “non risulta conforme a quanto stabilito in materia di contrattazione nazionale. Il CCNI 2016-17, infatti, limita la contrattazione regionale decentrata a disciplinare esclusivamente le operazioni di utilizzazione e stabilisce come legittime le assegnazioni provvisorie sul sostegno per non specializzati solo se questi ultimi si trovano in situazione di esubero”.
Gli specializzati sul sostegno chiedono, allora, “il ritiro immediato del procedimento per sua natura – continuano – è ‘illegittimo’ e, di conseguenza, della proposta sindacale dei corsi di preparazione, o veri e propri corsi PAS, per i neoassunti impiegati sul sostegno che, seppur mascherati dalla necessità di supplire alla mancata preparazione dei docenti assegnati sulle tematiche dell’inclusione, assumono le sembianze di veri e propri corsi di riconversione, al di fuori di quelli legalmente stabiliti del Decreto 30 settembre 2011”.
Per i specializzati, con cui si è schierato l’Anief che li vorrebbe subito di ruolo anziché supplenti su cattedre di fatto, i “veri” corsi di specializzazione prevedono invece tre prove di accesso a fronte di posti limitati e definiti regionalmente dal MIUR sulla “base della programmazione regionale degli organici”, a cui segue “un faticoso iter formativo da conseguire in non meno di otto mesi attraverso 60 cfu di esami, laboratori, tirocinio di 5 mesi ed una prova finale”.
Mentre si starebbero profilando dei “meri corsi di riconversione, che oltretutto rappresenterebbero solo un ripiego dei docenti neoassunti per evitare il trasferimento e non una scelta, come nel caso dei docenti specializzati che si sono sottoposti anche ad una procedura selettiva per acquisire questa professionalità”. Con l’aggravante che tanti “docenti che hanno superato le prove” si ritroveranno “fuori delle graduatorie di merito, a causa degli esigui posti messi a bando”, perché quelli liberi sono stati assegnati ai trasferiti su ambiti territoriali”.
Insomma, concludono gli specializzati, si fanno fuori coloro che hanno “l’esperienza maturata” e la formazione ad hoc, per lasciare “il posto a docenti che poco sanno di didattica né tanto meno di ‘didattica speciale’”. Il tutto per “rimediare alle storture della mobilità e di chi non vuole partire e ha scelto volontariamente di aderire ad un piano di assunzioni che prevedeva la mobilità nazionale”.
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