Aumentare le competenze degli alunni, ridurre gli abbandoni, incrementare il numero dei diplomati investendo negli istituti tecnici e professionali: se ne parla da anni, sono obiettivi dichiarati anche dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Ed ora inseriti pure nel Pnrr, che alla scuola italiana porterà oltre 17 miliardi. Ancora di più perché il mercato del lavoro chiede invano operatori tecnici e professionali. In attesa che il progetto decolli, si accavallano le proposte attuative. Come quella di rilanciare l’istruzione professionale cambiandone completamente fisionomia. Ne parliamo con Giovanni Boccia, direttore della Fondazione Germozzi di Confartigianato, promotrice di una scuola che dia maggiore spessore culturale ai suoi insegnamenti e che collabori in modo più efficace col mondo del lavoro
Dottor Boccia, con il Covid i temi dell’educazione e della formazione sono diventati dominanti. Anche il mondo delle imprese li segue da vicino. Cosa ne pensa Confartigianato?
Da sempre l’Italia è il Paese dei temi ‘divisivi’. Pure sul tema dell’educazione ci si divide in guelfi e ghibellini: quando si parla di educazione, istruzione e formazione, da un lato c’è chi sostiene pervicacemente la unicità della presenza della cultura umanistica in qualsiasi proposta; dall’altro c’è chi rivendica l’unicità degli orientamenti tecnici e professionali in qualsiasi proposta. Noi vogliamo uscire da questa contrapposta palude ‘ideologica’. E se la realtà fosse più complessa? E se, nei fatti, la formazione del ragazzo-cittadino che si affaccia sul mondo del lavoro fosse e dovesse essere ‘fatta di più cose’? Secondo noi esiste una ‘terza via’.
Qual è la terza via?
Partiamo da un concetto: il mondo delle imprese richiede competenze complesse. La divisione manichea attuale non ha nessuna rispondenza con la realtà. L’Impresa a ‘Valore Artigiano’ vuole indicare una terza via: quella della ‘contaminazione dei saperi’, pratici e intellettuali. Vi è un ‘fil rouge’ tra la Idea-Azione del prodotto e la Realizz-Azione dello stesso. Competenze intellettuali e pratiche si mischiano continuamente: vogliamo puntare sul ‘Saper Fare’.
È prossima la pubblicazione di un ‘quaderno’ della vostra Fondazione, firmato dal presidente, il professor Giulio Sapelli, con il quale avanzate una proposta: le competenze come mix di saperi che si mescolano di continuo. Può darci qualche anticipazione?
La nostra può sembrare una provocazione ma in realtà non lo è. Anzi, va proprio nella direzione di ‘non separatezza’. La crisi delle iscrizioni degli istituti superiori Professionali rimanda ad un immaginario che appunto separa le scuole: ci sono sempre più gli istituti di ‘serie a’ e poi quelli ‘di serie b’. Poiché le scelte implicano la messa in gioco di molti elementi e, tra questi, la percezione svolge un ruolo importante: bisogna anche ‘lavorare’ anche su questo aspetto e il ‘quaderno’ fa questo.
Dove si può leggerlo?
Il ‘quaderno’, che ha una prefazione di ‘indirizzo’ del presidente di Confartigianato Marco Granelli, è una sorta di ‘provocazione’ pubblica. Tutti possono leggerlo. Sceglieremo la modalità digitale. Tra poco, oltre che sul nostro sito, sarà disponibile, in modalità gratuita, in formato Kindle su Amazon.
Torniamo alla vostra proposta. Sembra di capire che la crisi degli istituti Professionali, ormai scelti da appena il 12% degli studenti, sia dovuta anche da come sono percepiti: concorda?
Certo. È indubbio che il ‘Liceo Tecnologico’, più ancora del ‘Liceo Professionale’, farebbe miglior figura di fianco alle altre proposte. Non creerebbe quella odiosa separatezza tra saperi, anche percettiva, che poi implica quel considerare gli istituti di primo e secondo livello. In questo modo, oltre ad una ridefinizione contenutistica che tenga presente la mescolanza di conoscenze ed approcci che il mondo del lavoro oggi pretende, anche le famiglie supererebbero quello ‘stigma negativo’ che ora purtroppo esiste.
Quindi, la parola magica “Liceo” potrebbe risollevare gli istituti Professionali?
Ne siamo convinti. La parola Liceo rimanda, infatti, ad una istruzione completa ed approfondita, percepita di livello superiore. Questa denominazione comune, peraltro, esiste da sempre in Francia, dove i percorsi professionali non sono affatto percepiti come minori, ma come una scelta alternativa e degna, alla pari degli altri indirizzi.
Le famiglie, spesso riluttanti alla scelta del Professionale per i loro figli, in questo modo sarebbero “accontentate”?
Esatto. I genitori avrebbero la possibilità di scegliere un’offerta formativa differente ma in un quadro unitario che non stigmatizzerebbe alcun percorso. Oggi la scelta professionale, diciamolo con tutta franchezza, è invece vissuta negativamente: vi è un percepito sfavorevole. La nostra proposta darebbe nuovo corpo e sangue alle opzioni professionali.
Sempre per rilanciare gli istituti Professionali, a livello di contenuti, oltre l’etichetta, cosa proponete di cambiare?
L’innalzamento della qualità dell’offerta formativa passerebbe per l’inserimento di tutti i percorsi dentro una piattaforma unitaria, ma si manterrebbero, è chiaro, le ovvie differenze contenutistiche tra percorso e percorso. A patto che si introduca un quadro che tenga sempre in grande considerazione la commistione dei saperi.
Quindi nei nuovi Professionali, le lezioni laboratoriali continuerebbero comunque ad essere svolte?
Certo. In più si andrebbe a frequentare una scuola legata al mondo delle Imprese, con uno sbocco lavorativo reale ma in un quadro unitario e non classista. Anche perché, ripeto, noi abbiamo bisogno di competenze complesse. Ad un tempo pratiche e intellettuali. Quindi la qualità dell’offerta aumenterebbe sia percettivamente che realmente.
Ma nel Liceo Professionale le discipline tecnico-pratiche dovrebbero aumentare?
In generale, le proposte devono scaturire da un’attenta analisi e da un confronto a tutto campo. Con più attori. L’elemento centrale di riflessione, comunque, è la composizione dei programmi didattici che, attraverso una contaminazione dei saperi, deve perseguire una strada più orientata al lavoro, allineando i programmi alle competenze richieste dalle imprese e senza sminuire la parte culturale. Come ho cercato di dire, si deve puntare alla formazione di competenze complesse, tipiche dell’impresa a ‘Valore Artigiano’.
Secondo voi servirebbero anche nuove materie professionalizzanti?
Il tema del potenziamento dei programmi nelle scuole secondarie ad indirizzo professionale, anche tramite l’inserimento di materie estranee all’indirizzo ed a frequenza opzionale, è un tema oggi ampiamente dibattuto. Come, di contro, si può prevedere una riorganizzazione dell’offerta didattica dei Licei, anche con l’inserimento di insegnamenti diversi rispetto al classico piano di studi.
Ci può fare un esempio?
Pensiamo a percorsi di educazione all’auto-imprenditorialità, una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente e competenza fondamentale per l’imprenditoria artigiana.
Il potenziamento dell’offerta formativa degli istituti professionali e del suo appeal si pone come un elemento strategico, perché risponde a molteplici esigenze, tra cui anche la drammatica necessità di diminuire il gap tra domanda ed offerta di lavoro. Le nostre imprese non riescono a trovare collaboratori qualificati e, di contro, molti ragazzi non trovano occupazione. La qualità dell’offerta scolastica è un aspetto imprescindibile per affrontare la complessità attuale, ancora di più nella fase di ricostruzione post pandemia, ed assume un ruolo centrale per la formazione delle professionalità di cui gli imprenditori artigiani hanno bisogno.
Ma scuola e lavoro perché hanno difficoltà ad incontrarsi?
In effetti esiste spesso un’odiosa divisone tra scuola e lavoro. Invece, sono entità che devono, così come le competenze, com-prendersi. Per farlo occorre un potenziamento della componente laboratoriale, ed a tale proposito si deve rilevare come, troppo spesso, i laboratori delle scuole abbiano a disposizione tecnologie obsolete e già superate dalle imprese.
E i docenti sarebbero pronti a tutto questo?
Diventa determinante anche investire sulle competenze di chi insegna le materie tecniche e professionali a scuola. Per farlo occorre mantenere un livello di aggiornamento in linea con i cambiamenti continui tipici del mondo delle imprese.
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