Si possono discriminare i bambini che fruiscono del trasposto scolastico sulla base della loro nazionalità?
La risposta sembrerebbe scontata, eppure….
Un Comune abruzzese deliberava di assegnare un contributo per il pagamento del bus e della mensa scolastica solo agli alunni figli di genitori dell’Unione europea, ignorando gli alunni con genitori “extracomunitari”, che frequentavano la stessa scuola.
Tale provvedimento veniva impugnato da due associazioni di consumatori, in quanto ritenuto discriminatorio.
“La scuola è aperta a tutti”, così recita l’art. 34 della Costituzione, precisando che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.
La normativa che regola la permanenza degli stranieri sul territorio italiano vieta trattamenti discriminatori sulla base della nazionalità.
Allo stesso modo, la “Convenzione sui diritti del fanciullo” del 20 novembre 1989 ratificata dall’Italia con l. n. 176/1991, ribadisce il diritto all’insegnamento primario gratuito (art.28).
E’ questa la frase che si sente spesso ripetere in situazioni come questa.
In realtà in questo caso non si trattava di “privilegiare” degli stranieri rispetto ai nostri connazionali, ma della scelta di assegnare il contributo a qualcuno sì e ad altri no.
E, si badi bene, si trattava di ragazzi che frequentavano la stessa scuola e spesso la stessa classe, i cui i genitori risultavano in regola col pagamento dei tributi.
Secondo il Tribunale di Pescara (ordinanza del 31 gennaio 2024) “è irragionevole e contrario al principio di solidarietà” escludere alcuni soggetti esclusivamente sulla base della nazionalità, “dal momento che si tratta di misure a sostegno di tutti i membri della comunità residenti nel Comune e in regola con i tributi”.
Oltre a condannare il Comune a restituire alle famiglie le somme nel frattempo versate per bus e mensa e a pagare le spese processuali, il Tribunale – affermata la natura discriminatoria della delibera – ha disposto la pubblicazione del provvedimento sul sito istituzionale del Comune e su una testata giornalistica locale.
Resta l’amaro in bocca di fronte al fatto che si sia pensato di discriminare dei bambini sulla base della cittadinanza dei loro genitori.
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