Il tempo passa, ma le posizioni sulla trattenuta stipendiale del 2,5% che l’amministrazione continua ad applicare per la costituzione del Tfr rimangono immutate. Da una parte c’è lo Stato, rappresentato dal Governo, che vara norme “paracadute”, come il Decreto legge n. 185 del 29 ottobre 2012, perché non può permettersi di pagare arretrati salatissimi (stime attendibili indicano addirittura alcuni miliardi di euro) da destinare ad una buona parte dei dipendenti pubblici. Dall’altra ci sono i sindacati, forti della sentenza della Consulta 223 dell’8 ottobre scorso, che ha di fatto dichiarato incostituzionale la sottrazione della quota, per l’accantonamento delle quote da restituire a fine rapporto, “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del dPR 1032/73”.
Secondo i rappresentanti dei lavoratori la Corte Costituzionale non ha fatto altro che confermare che con la nuova aliquota del 6,91%, in virtù del D.P.C.M. del 20.12.1999, a partire dal 1° gennaio 2001 passati dal regime di TFS al regime di TFR, non si sarebbe mai dovuto applicare “il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base retributiva previsto dall’art. 11 della legge 8 marzo 1968 n. 152 e dall’art. 37 del DPR 1032/1973 n. 1032”, come statuito dal comma 2 dello stesso articolo 1 del decreto: lo Stato, ha spiegato la Consulta, in quanto datore di lavoro, non può versare un Tfr inferiore a quello di un’azienda privata. E poiché lo Stato ha trattenuto dalla busta paga indebitamente questi soldi negli ultimi dieci anni, è tenuto ora a restituirli.
Ma solo in via teorica. L’art. 1, c. 98 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 ha disposto il ritorno al regime di TFS di chi è passato a regime TFR a partire dal 1° gennaio 2011, in quanto l’art. 12, c. 10 della legge 122/2010 è stato dichiarato incostituzionale. Questo vuol dire che per il biennio 2011-2012 ogni dipendente o dirigente a tempo indeterminato avrebbe avuto versato dall’amministrazione come TFS l’aliquota del 9,60% piuttosto che l’aliquota del 6,91% come TFR. Per quanto riguarda i TFR liquidati in questi due anni, il Governo ha già messo da parte le risorse (41 milioni di euro) per rideterminare entro un anno tempi e modalità per riliquidare la differenza spettante a seguito dell’applicazione della nuova norma. Per tutti gli altri, invece, non è stato ad oggi previsto niente. Anzi, a dire il vero il Mef, con nota dell’8 novembre 2012, a tal proposito ha dichiarato che non intende effettuare alcun intervento. Cosicché l’Inps, il 9 novembre 2012, ha precisato come “i trattamenti di fine servizio da definire successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 185 del 31 ottobre 2012 (recepito dalla legge n. 228/12) sono erogati in via provvisoria tenendo conto delle anzianità utili maturate fino al 31 dicembre 2010”.
La situazione, insomma, è davvero ingarbugliata. Ma, dopo una pausa di qualche settimana, i sindacati tornano alla carica. L’Anief, in particolare, che di ricorsi se ne intende, ha avviato in questi giorni le iniziative giudiziarie per la restituzione del credito.
“Lo Stato – spiega il sindacato guidato da Marcello Pacifico – deve interrompere la trattenuta del 2,5% del TFR e restituirla ai precari e ai docenti, dirigenti e Ata assunti dopo il 2001. Gli altri assunti prima del 2001 in regime di TFS devono richiedere il 2,69% per gli anni 2011 e 2012”. Questo in linea generale. Entrando nel merito, in questa prima fase, in attesa delle disposizioni da determinare, “il personale della scuola dipendente e dirigente dovrà soltanto inviare all’amministrazione una diffida per interrompere i termini prescrittivi di cui alla nota citata e inoltrare all’ANIEF eventuali comunicazioni-risposte dell’amministrazione. L’invio della diffida – conclude l’Anief – è necessaria perché trascorsi dieci anni il credito non è più solvibile nel caso in cui il Governo non trovi, a regime, le risorse necessarie (4 miliardi di euro) per la riliquidazione della quota spettante per gli oltre 2.500.000 tra dipendenti e dirigenti pubblici”. I rimborsi non sono certo marginali: dai 3.000 ai 12.000 euro a lavoratore.