La più famosa leggenda metropolitana italiota è quella secondo cui gli insegnanti italiani godrebbero, da sempre e per sempre, di tre mesi di vacanze. Anzi quattro, considerando anche Natale e Pasqua. Leggenda durissima a morire, malgrado i fiumi d’inchiostro versati dalla stampa (quella onesta) per chiarire l’equivoco, le trasmissioni TV, il fiato sprecato dai docenti stessi per convincere amici e parenti dell’infondatezza di questo radicato luogo comune.
Niente da fare. Il cretino medio è convinto che gli asini volino, che il riscaldamento globale sia una panzana, che le “scie chimiche” siano un complotto internazionale per distruggere l’Italia. E che i docenti — strapagati e protetti perché “casta di privilegiati” — godano di vacanze infinite.
In tanti la pensano ancora così. La realtà la conosce chi insegna. Perché chi sa, può persino insegnare; mentre chi non sa, fa quel (poco) che può e pontifica su chi sa.
I celeberrimi “quattro mesi”, tanto per cominciare, si riducono ai 36 giorni da contratto per tutti quei professori e professoresse costretti a sobbollire fino a metà luglio per gli esami di Stato, in aule roventi, progettate (spesso male) negli ormai lontani tempi in cui l’Italia godeva del clima mediterraneo.
Le temperature globali risultano in progressivo ed inesorabile aumento dal 1980, ma in Italia nulla di nulla è stato fatto per adattare gli edifici scolastici (e le patrie galere) alla vampa africana cui tutta la Penisola è ormai esposta da maggio ottobre. Tanto nelle scuole lavorano i “privilegiati” insegnanti e ATA, e di chi studia nella Scuola pubblica par non interessare a nessuno un fico secco. In fin dei conti chi può — come il noto maître à penser Flavio Briatore, quello che non vuole far studiare Pirandello al figlio perché secondo lui «l’italiano è la terza lingua» — manda i figli in lussuosi collegi privati, pagando 100.000 euro all’anno, onde evitare incomodi.
Terminati gli esami, al docente resta qualche settimana di altissima stagione: quando i prezzi sono ovunque alle stelle, e tutte le mete turistiche sono affollatissime. Gli insegnanti più “ricchi” (quelli vicini alla pensione) guadagnano poco più di 2.000 euro al mese, dopo 35 anni di servizio, una o due lauree, tre o quattro abilitazioni, corsi di aggiornamento e perfezionamento vari. Gli unici di loro, che possano permettersi bei viaggi all’estero in luoghi da sogno, sono quelli che hanno ereditato dai propri genitori abbastanza risparmi, da poterne impiegare una parte in spese voluttuarie; oppure quelli dotati di coniuge o partner facoltoso, o comunque retribuito più di loro (cosa non certo infrequente, visti gli stipendi vergognosi riservati ai lavoratori della Scuola tutti). Il docente solo, o divorziato, o privo di risparmi, se la passa talmente male da potersi recare, forse, solo qualche giorno in località poco costose, e per questo affollatissime, ove riposo e relax sono una chimera.
Si pensi alla situazione delle spiagge italiane, quasi tutte privatizzate: ossia cedute in gestione da Stato ed enti locali a concessionari, che pagano una bazzecola all’anno per riempirle di ombrelloni e sdraio, guadagnando il centuplo della bazzecola pagata.
L’associazione Altroconsumo, dopo aver condotto un’inchiesta in dieci città e raccolte le tariffe di 211 stabilimenti balneari dalla prima alla quarta fila, ha rivelato che quest’anno il prezzo medio è stato di 228 euro a settimana per lettini e ombrellone (con punte di 392 euro ad Alassio). Si può risparmiare solo accontentandosi delle ultime file, o andando in luoghi di minor mercato (che però hanno altri problemi, ovviamente).
I prezzi dei carburanti sono alle stelle (grazie anche a chi aveva promesso di abolire le accise per prendere voti, e poi, una volta al governo, si è guardato bene dal mantener le promesse). I prezzi di treni, navi e aerei crescono pure. In compenso, i treni — bisogna ammetterlo — funzionano molto meglio che… nell’Africa centrale.
«Ma i docenti» dicono i pocopensanti, «hanno anche le vacanze di Natale e Pasqua! E poi i maestri elementari e i prof delle medie sono liberi già da giugno!». Forse. Tuttavia c’è sempre la poca disponibilità economica (oltre al lavoro, che nei periodi di pausa i docenti svolgono comunque) a impedire la vacanza. Inoltre il lavoro quotidiano è talmente intenso, da affaticare il triplo almeno di qualunque altra professione intellettuale. Cinque ore d’insegnamento equivalgono a 15 in ufficio (senza contare il lavoro pomeridiano). Con ragione Vittorio Lodolo D’Oria sostiene che le ferie sono per i docenti una convalescenza, e servono loro per curarsi. Chi non ci crede, provi a insegnare un giorno (ammesso che sia preparato per farlo)!
Calunnie, vilipendio, paghe oltraggiose. Non solo i docenti sono esposti a tutto ciò, ma anche i loro figli: i quali hanno avuto il torto di nascere da persone oneste che hanno creduto nella cultura, che sono sempre state le migliori negli studi, che hanno avuto fiducia nello Stato. Forse per questo persone simili vanno punite? Dobbiamo prendere atto che nel Paese di Acchiappacitrulli la pedagogia sociale è quella che premia il malaffare e scoraggia onestà e correttezza?
Gli alunni di queste persone — i docenti, pericolosi perché controcorrente e non conformi — devono imparare che studiare non serve niente? che, più di maestri e professori, contano gli influencer, i felloni d’ogni risma, i venditori d’aria fritta?
L’Italia non deve più somigliare a quel faro di civiltà che fu nel proprio illustre passato (anche recente), ma diventare e restare il paradiso di evasori fiscali, prenditori senza scrupoli, multinazionali, miliardari, speculatori e predatori nordamericani, britannici, australiani, arabi, cinesi, russi, indiani? Dev’essere abitata da un popolo che sprofondi nell’ignoranza, nell’approssimazione da analfabeti, nel razzismo, nell’antisemitismo?
Dunque è giusto, perché funzionale a tutto ciò, trattar male gli insegnanti — “eretici impenitenti et ostinati” — e diffamarli per giunta? Affinché imparino, una buona volta?
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