Come ogni anno, nel pieno delle vacanze estive, è tornata puntuale la polemica relativa allo stereotipo delle ferie troppo lunghe per i docenti. In queste ore, su X, un account ha scritto un lungo post, in un thread, che cerca di rispondere, dal punto di vista degli insegnanti, a queste critiche.
Ecco il post nella sua interezza: “Sono un docente. Senza alcuno spirito di parte, intendo dimostrarti che, anche se faccio un lavoro diverso dal tuo, lavoro esattamente quanto te, e non diciotto ore alla settimana con tre mesi di ferie. Ero fuori dalle 18 ore d’insegnamento, quando scrivevo e riscrivevo la struttura delle future lezioni per renderle più adatte alla classe, in tutte le sue individualità, e per mettere in luce la bellezza e la profondità dell’argomento. Ero fuori dalle 18 ore, quando fino a sera tardi correggevo le verifiche imponendomi, per la centesima, la stessa lucidità e lo stesso tempo di lettura dedicati alla prima. Ero fuori dalle 18 ore, quando la notte ricevevo l’email di tuo figlio che mi confidava cose personali perché ‘non riusciva a immaginare un’altra persona a cui poterle dire’ e mi chiedeva consiglio su come parlarne con te. Ero fuori dalle 18 ore quando preparavo una memoria da presentare in collegio docenti, per difendere disperatamente dall’ennesima ‘riforma’ quel poco che restava della scuola pensata dai padri costituenti. Ero fuori dalle 18 ore quando preparavo una ventina di lettere di presentazione per gli ex allievi intenzionati a partecipare a selezioni per borse di studio o a iscriversi a università straniere che le richiedevano”.
“Ero fuori dalle 18 ore quando accompagnavo in gita per una settimana studenti affidati interamente alla mia responsabilità, senza uno straccio di indennità giornaliera e nel quadro di un ridicolo sistema di tutele. Ero fuori dalle 18 ore quando la burocrazia generata dal sistema dei ‘progetti’ e dei ‘finanziamenti PNRR’ mi costringeva a continue riunioni che mi sottraevano il tempo necessario a preparare le lezioni e ad aggiornarmi. Ero fuori dalle 18 ore quando rispondevo alle email di ragazzi in piena ansia da esame di Stato, a cui sembrava di non sapere più niente, di non ricordare più niente, di non valere più niente. Ero fuori dai ‘tre mesi di ferie’ quando, da metà giugno a metà luglio, come membro della commissione dell’esame di Stato lavoravo con la spada di Damocle dei ricorsi che ormai ossessionano i presidenti, a tal punto da rivedere mille volte i verbali e rileggere allo sfinimento i compiti, inseguendo il sogno impossibile (e fuorviante) della perfetta autotutela. Ero fuori dai ‘tre mesi di ferie’ quando svolgevo, a giugno e luglio, i corsi di recupero per i miei allievi e per quelli dei supplenti con contratto scaduto. Ero fuori dai ‘tre mesi di ferie’ quando rientravo, passato ferragosto, per gli esami di riparazione e per quelli di ammissione da altro istituto, per il collegio docenti, per le riunioni di dipartimento, per la partecipazione ai bandi regionali. Ero fuori dalle 18 ore quando tiravo giù mezza libreria per rintracciare il libro che la mattina avevo promesso a tuo figlio, in risposta alla sua richiesta di un consiglio di lettura”.
“Ero fuori dalle 18 ore quando frequentavo, oltre ai corsi di aggiornamento proposti/imposti in materia di ‘digitale’ e di ‘inclusione’, anche conferenze per approfondire aspetti della mia disciplina, per essere un docente migliore. Ero fuori dalle 18 ore quando un genitore mi chiedeva un altro colloquio, perché era preoccupato per il figlio e, anche se non si trattava di questioni di scuola, sarebbe stato importante per lui parlarne con me ‘come persona’. Ero fuori dalle 18 ore quando mi opponevo in ogni sede alla didattica a distanza e raggiungevo Roma a mie spese per sollevare l’allarme sui danni all’apprendimento e alla socializzazione che stava producendo. Ero fuori dalle 18 ore quando aprivo la porta a tua figlia, che mi confidava piangendo che da quando aveva subito il TSO di Stato non le veniva più il ciclo e aveva il terrore di non potere più diventare madre. Ero fuori dalle 18 ore perché ciò che ti lega a una classe o a uno studente non ha e non potrà mai avere un timer e ti accompagnerà sempre, come un secondo pensiero e un’inquietudine perennemente in sottofondo, anche quando ‘non lavorerai’. Giustamente mi dirai che anche la tua professione ha molti di questi aspetti, ed è perfettamente vero. Per questo vale quel che ti dicevo all’inizio: anche se faccio un lavoro diverso dal tuo, lavoro esattamente quanto te. Né più, né meno. Ci sono certo anche insegnanti che lavorano poco e male: ma esattamente come io non ti paragono ai peggiori rappresentanti della tua professione, ti prego, se puoi, di non farlo con me”.
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