Non c’è riforma scolastica senza una o più idee fondamentali. Ma esse nascono come risposta alla domanda: qual è il metodo educativo più efficace?
Credo che, come affermava Platone, per le forme di governo, esso non esista. E’il frutto di una sapiente combinazione che tenga presente tutte le condizioni. Comunque, considerando le tre metodologie fondamentali del processo insegnamento-apprendimento (il modello cognitivo, attivo, interattivo) ci accorgiamo che ciascuna possiede punti forti e deboli.
Se mettiamo al centro la cultura, abbiamo il “Modello cognitivo”, detto anche tradizionale. Esso si basa sulla centralità dell’insegnante e del libro di testo, dove il sapere è già confezionato. La professionalità docente, più che valorizzata, è degradata a manovalanza operativa incaricata di trasmettere prodotti cognitivi codificati. Tale modello presenta indubbi aspetti negativi: la scissione tra il momento dell’insegnamento e quello dell’apprendimento, tra il sapere ed il saper pensare, tra lo sforzo cognitivo ed il piacere creativo. Favorisce stati di passività mentale, mutila l’immaginazione e l’inventiva. Eccoci di fronte al ricordo d’insegnanti inflessibili, con in mano il bilancino della valutazione nozionistica: ti ho dato dieci concetti e dieci me ne devi restituire. Ma questo metodo ha anche aspetti positivi: è funzionale alla riproduzione veloce di conoscenze certe.
Ribaltando l’impostazione della didattica tradizionale, il “Modello attivo-induttivo”, pone, invece, al centro il ragazzo e le sue esigenze evolutive. Per questo è detto anche “puerocentrico”. Al programma costruito secondo la logica della completezza ed organicità del sapere, esso sostituisce quello modellato sugli interessi e sui bisogni dell’alunno. Al metodo attivo viene riconosciuto il merito del superamento della tradizione verbalistica e libresca e l’interazione individuo-ambiente. Rappresentanti storici del modello attivo sono Jean Jacques Rousseau, John Dewey, Maria Montessori.
Non mancano però, in questo modello, aspetti negativi come la dispersività dell’approccio spontaneistico, l’enfasi data alla componente ludica, la mancanza di un’educazione all’impegno, al rigore intellettuale, alla disciplina comportamentale, necessari per superare l’egocentrismo, per conquistare la maturità cognitiva e l’autonomia morale, per adattarsi alle regole della vita sociale. Quante inutili e passivizzanti visioni di film sono tipiche di questo modello!
E veniamo al “Modello interattivo”. Alla centralità del sapere, propria del metodo tradizionale, ed alla centralità dei bisogni evolutivi, propria del metodo attivo, esso sostituisce la relazione educativa. Non più la cultura statica, non più l’attenzione pedagogica puntata solo sull’allievo, ma la centralità della relazione a triangolo fra insegnante, ragazzo e cultura. Il metodo problematico è attento sia alla natura del soggetto che apprende (l’allievo), sia alle ragioni degli oggetti dell’apprendimento (il sapere). Nel modello interattivo, la scuola non è più né la sede di un sapere precodificato, come nel metodo tradizionale, né la sede di un sapere assimilato in modo frammentario e dilettantistico, come nel metodo attivo, ma una comunità sociale viva che assolve ad un duplice compito:
1) L’ integrazione-confronto con l’esperienza della comunità sociale, interagendo con altre agenzie del sistema educativo (famiglia, associazionismo, mondo del lavoro);
2) Il processo costruttivo critico-razionale di una cultura sempre rivedibile ed aperta. Rappresentanti emblematici del terzo modello sono Socrate, John Dewey, Carl Popper, Jerome Bruner, Don Milani.
Ecco allora il metodo di apprendimento essenziale, organizzato ed efficace. Due soggettività (insegnante ed alunni) che si confrontano costruendo strutture sempre più complesse di sapere e di pensiero. Dando spazio alle conoscenze del metodo tradizionale, alla ricerca del metodo attivo, al dialogo del metodo interattivo.
Questo processo avviene secondo le leggi tipiche della scuola ideata da Bruner: La programmazione del sapere contro lo spontaneismo attivistico. L’essenzialità del sapere contro la ridondanza contenutistica del metodo cognitivo, in funzione di un’economia degli sforzi e dell’ottimizzazione dei risultati. Così, ad esempio, un argomento di storia come le esplorazioni geografiche, studiato alle elementari, alle medie o alle superiori, avrà sempre la medesima struttura concettuale, resa però, di volta in volta, più complessa nei contenuti, nei linguaggi, negli apparati critici.
Luciano Verdone
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