L’insegnante “troppo severo” rischia il carcere. Una docente di Scuola Media della provincia di Oristano, infatti, sta subendo un processo penale per aver punito un’alunna costringendola rivolgere il proprio banco verso il muro. Rischia un mese di reclusione (con conseguente presumibile licenziamento in caso di condanna) per “abuso dei mezzi di correzione” ai sensi dell’art. 571 del codice penale.
Intanto Carmelo Barbagallo, settantaduenne Segretario generale UIL (nonché ex operaio FIAT impegnato nella lotta ai condizionamenti mafiosi), ha proposto, per “difendere” i lavoratori, lo “sciopero virtuale”: ossia — leggiamo sul sito UIL — «I lavoratori dichiarano di essere in sciopero e non percepiscono, quindi, il loro salario giornaliero, ma prestano ugualmente il proprio servizio. Contemporaneamente, però, il datore di lavoro deve versare un determinato fondo, magari destinato a opere di beneficenza, un importo pari al triplo di quel salario». Una proposta già avanzata da Pietro Ichino (altro esponente della “Sinistra”) nel 2003 e che, ovviamente, piace alla Destra: tanto da esser oggetto di una bozza di disegno di legge delega sulla regolamentazione dello sciopero nei trasporti esaminata dal quarto Governo Berlusconi nel febbraio 2009.
Allo stesso tempo la regionalizzazione della Scuola avanza, contro tutto e contro tutti. Luigi di Maio è pronto alla resa, edulcorata dalla richiesta di un “grande piano per il Sud”, da varare “di pari passo con l’Autonomia”. Il problema è che, con l’autonomia differenziata (ideata dalla Lega proprio per aumentare il divario tra regioni ricche e regioni povere), il “grande piano” potrebbe rivelarsi un minuscolo ukulele. E la musica che ne risulterebbe sarebbe ben diversa.
Abbiamo già visto, peraltro, che la regionalizzazione sarebbe un’autentica iattura anche per altri settori importantissimi della vita nazionale: sanità, trasporti, gestione di rifiuti e ambiente.
Le tre notizie citate non necessitano di commento. Esse testimoniano un cambiamento rapidissimo, con totale snaturamento del modello di democrazia che davamo per scontato, e che si fondava su valori condivisi in cui oggi pochi membri della classe dirigente credono ancora: il ruolo della Scuola e della funzione docente; la tutela dei diritti dei lavoratori e degli strumenti civili di lotta nonviolenta loro disposizione (lo sciopero fu definito da Piero Calamandrei “mezzo per la promozione dell’effettiva partecipazione dei lavoratori alla trasformazione dei rapporti economico-sociali”); l’uguaglianza — per tutti gli Italiani — di tutti i diritti fondamentali (tra cui istruzione e sanità) indipendentemente dalla regione di residenza.
La tentazione — cui tutti i democratici sinceri sono esposti — è quella di arrendersi, di chiudersi impauriti in se stessi, di ritirarsi nella sfera privata dell’esistere. Ma basterebbe ciò a farci vivere tranquilli? Diventare servi ubbidienti e indifferenti fa bene alla salute (mentale e fisica)? O non è forse più utile (nonché soddisfacente a prescindere dal risultato) opporsi allo sfascio con tutte le proprie forze e con tutti i mezzi nonviolenti a disposizione?
E opporsi, in fondo, è proprio così difficile? Gli Italiani sinceramente democratici sono davvero pochi? E stanno davvero cedendo a una maggioranza di malvagi che dominano il mondo?
In fondo coloro che fanno veramente male alla nostra società sono davvero pochi. Sono quelli che ignorano l’etica, e che riescono proprio per questo a occupare i posti più alti, essendo disposti a tutto pur di venerare i propri idoli: Denaro, Sesso e Potere. Idoli trasversali a ogni schieramento politico e religioso. Al secondo posto troviamo quanti con costoro collaborano, restandone comunque subalterni. Poi ci sono i molti che seguono i più forti per servirli, e che si accontentano delle loro briciole.
La maggior parte degli umani (e — ahimè — dei docenti) sta però nella zona grigia, quella che non prende posizione, che vuol esser lasciata in pace e non si schiera. Sono loro che permettono al mondo d’essere quel che è. Potrebbero, per la propria consistenza numerica, cambiare la situazione, ma preferiscono non farlo; e in tal modo si rendono complici di chi il mondo lo deturpa.
Ci sono tuttavia anche quelli che hanno voglia di fare, di agire, di cambiare le cose, di rendere la realtà più bella e più giusta; ma che non hanno la forza, la costanza, la cultura, la coerenza necessarie per impegnarsi fino in fondo. E che quindi lasciano perdere alla prima sconfitta.
Diverso è il contributo di coloro che si schierano con decisione contro l’ingiustizia, pur non avendo capacità di organizzazione e visione complessiva del contesto, né idee coerenti. Differente, infine, è la categoria di quanti, dotati d’intelligenza, cultura e capacità non comuni, mettono questi talenti a disposizione del cambiamento, del progresso, della giustizia sociale.
Sono forse le persone appartenenti a queste due ultime tipologie, quelle che Paulo Coelho definisce “Guerrieri della Luce”: ci piace, comunque, chiamarli così, a prescindere dalle loro convinzioni etiche, politiche, religiose.
A ognuno la scelta: a quale gruppo appartenere? Saper resistere oggi significa anche porsi questo problema, come hanno saputo fare i tanti che hanno speso la propria vita per un mondo più giusto. Se anche soltanto pochi di noi sceglieranno di somigliare a loro, questo mondo inizierà ad esser migliore, perché più civile e più umano. E così il nostro Paese. E la nostra Scuola.
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